IL PRESEPIO DI PREA, ALLE RADICI DELLA “LANGUE D’OC”




“Nomen Omen”, dicevano i Latini, per significare come il nome che si porta non è un incidente casuale, ma reca con sé il significato di un’esistenza. Vale per le persone, ma anche per le città. Prendiamo Roccaforte: più di un borgo, nel nostro paese, si chiama così, evocando castelli inespugnabili issati su guglie di roccia a strapiombo sul niente.
Roccaforte è anche il nome di un comune della valle Ellero, una delle tante disposte a raggiera che segnano l’anfiteatro naturale della Granda, la provincia di Cuneo. Qui siamo nel Monregalese, la zona che ha come centro di riferimento la città di Mondovì.
Ma al visitatore Roccaforte non offre il colpo d’occhio che ci si potrebbe attendere. Il centro del paese sorge infatti nel bel mezzo di un ampio pianoro, e per trovare traccia del castello è necessario ricorrere ai libri di storia che parlano delle fortificazioni romane sorte per intervento dell’imperatore Adriano lungo la Via Pompea, più nota come “Via del sale”, una fra le tante che collegavano l’odierno Piemonte con la Riviera di Ponente.
Roccaforte oggi fa onore al suo nome con l’attiva difesa delle proprie tradizioni: la vocazione agricola e pastorale, un fitto tessuto di piccole ma tenaci attività industriali, una cucina basata sui prodotti del bosco, tra i quali spicca il prelibato fungo porcino, il turismo che può scegliere tra i richiami di Lurisia, con le sue Terme e la celebre stazione sciistica, o le escursioni sui sentieri dell’alta Valle Ellero, che è riuscita a conservare le sue peculiarità e a non avvertire più di tanto gli scossoni della globalizzazione, ed è oggi collegata con il comprensorio sciistico “Mondolè Sky” (130 km di piste) grazie alla nuova seggiovia che la collega con il pianoro della Tura.
Questa è infatti la terra del Kyè, la parlata d’origine occitana che racchiude come uno scrigno i segreti delle tradizioni e dei costumi dell’antica cultura diffusasi tra la fine del primo millennio dopo Cristo e i primi secoli del secondo dalla Gallia in tante valli alpine, a macchia di leopardo.
Prea, sita su un costone a sud ovest che sembra un balcone sull’Ellero, è una frazione dalla struttura d’impronta medievale quasi aggrappato alla Chiesa Parrocchiale, edificata a partire dal 1847 in stile barocco piemontese. Tra le sue strette vie catturano lo sguardo i numerosi murales, e i fabbricati con il “tetto racchiuso”, una tecnica costruttiva influenzata dalle matrici occitane presente anche in alcune valli del Bellunese, dell’Appennino Tosco/Emiliano, dei Pirenei e all’estremo nord della Scozia. Di particolare pregio, salendo oltre i mille metri sul livello del mare, ecco ergersi isolata la chiesetta di S. Anna, eretta nel 1763 in squisita fattura rococò, unico esempio in Piemonte di barocco francese in edifici religiosi.
Più di altri centri, Prea ha sofferto dello spopolamento delle campagne. Non sono molte le famiglie che la abitano per tutto l’anno, ma chi è rimasto (o chi è arrivato qui), lo ha fatto per scelta.
Da queste parti si gustano formaggi dal sapore unico, e nella maestria artigiana dei casari nessuna Raschera somiglia ad un’altra.
D’estate la piccola comunità si ritrova in piazza per la cena di Ferragosto, con l’orchestra ed il ballo liscio che qui attira sempre, e non solo quelli che sono giovani da più tempo. In quei giorni si tiene anche la lotteria, il cui ricavato alimenta quello che a Prea è l’evento dell’anno: il Presepe Vivente.
Chi ama il genere ne conosce molti, sparsi qua e là per la Penisola. Ma questo ha qualcosa di diverso, di speciale, una marcia in più. Perché qui la rappresentazione sacra prevede che a muoversi siano gli spettatori, che hanno la possibilità di girare per il presepe come se fossero statuine mosse da un invisibile motore.
Paradosso tra i paradossi, per aprirsi il paese chiude. Dal tardo pomeriggio fino a notte fonda il centro del borgo diventa un vero e proprio teatro all’aperto (in cui si entra pagando un modesto pedaggio) che il visitatore percorre lungo un itinerario prefissato, con un punto d’inizio ed uno d’arrivo. Sulle stradine si affacciano più di cinquanta scene che procedono ininterrottamente per tutta la durata della rappresentazione, con gli abitanti (e qualche rinforzo) come protagonisti, per un totale di alcune centinaia di persone. Quasi ogni casa e nucleo familiare viene coinvolto: chi mette a disposizione una stanza, chi una rimessa, chi un’area scoperta, ed in ciascuno di questi ambienti rivive, per tre sere, la vita di un paese della valle Ellero esattamente com’era fino a non troppi decenni fa.
Lungo le strette vie dell’antico borgo si transita davanti all’osteria, dove austeri signori in mantello scuro giocano a carte con il quartino di rosso davanti tra solerti locandiere in grembiule ottocentesco. Più avanti è tutto un susseguirsi di laboratori, dove funzionano a pieno regime le botteghe dei mestieri più diffusi, dal fabbro al falegname, dove c’è chi ripara e costruisce bambole, chi lavora il legno e produce in diretta oggetti d’uso quotidiano per la gioia del visitatore, il panettiere che sforna a ciclo continuo deliziosi grissini cotti a legna che vanno letteralmente a ruba, fino a giungere alla zona dove i taglialegna armeggiano attorno a grossi tronchi che arrivano spettacolarmente a valle portati da una robusta teleferica, per l’estasi dei più piccoli.
Uno spettacolo unico, nel quale ha parte non secondaria anche la rappresentazione sacra: davanti alla chiesa, in una mangiatoia attorno alla quale trovano posto un asino ed un bue, giace beato l’ultimo arrivato nella comunità, ignaro nel suo sonno tranquillo della confusione che regna attorno a lui, con la sua mamma ed il suo papà nei panni di Giuseppe e Maria, proprio come deve aver fatto un altro bambino, poco più di duemila anni fa.
Il tutto dura tre sere nell’arco dell’anno: il 24 ed il 26 dicembre, e poi il 5 gennaio. Il giorno dopo è l’Epifania, che – come suggerisce un antico adagio – tutte le feste porta via. E anche il borgo occitano di Prea torna alla quotidianità dell’oggi, dopo aver riportato per qualche ora all’indietro l’orologio dei secoli.

Buon Natale!

Nonostante tutti gli attentati, ancora una volta è Natale. Ancora una volta, quest’anno, un piccolo bambino viene a mettere in crisi certezze e comodità con la sua storia scandalosa.
Lui, il creatore, che nasce povero in una mangiatoia all’interno di un riparo d’emergenza utilizzato dai pastori. A far festa, a complimentarsi con la mamma ed il papà, proprio loro, i pastori, e la piccola gente del circondario. Niente fiori sul tavolino, né regali sontuosi. Solo dolcezza e simpatia.
Tesori preziosi, oggi – le recenti vicende finanziarie stanno ridimensionando un certo modo di pensare – più che mai. Anche per questo mi piace parlare, lo vedete qui di costa, del Presepio di Prea, un gioiello – ne approfondiremo le caratteristiche nel prossimo post - che racconta proprio della gente semplice, della vita quotidiana di paese, oltre un secolo fa. Gli eredi ideali di coloro che accolsero il Cristo duemila anni prima. In tempi più recenti sarebbe nato tra di loro.
Nonostante gli attentati, dicevo. Ogni anno c’è chi riesce a stupire. A Oxford, per non offendere la sensibilità dei credenti di altre religioni, Natale non c’è più. Peccato che i primi ad offendersi siano stati ebrei e musulmani. In una scuola della Lombardia, qualche tempo fa, sempre per un malinteso senso di apertura verso altre culture, c’è stato chi ha cercato di sostituire Gesù Bambino con Virtù Bambino, anche nelle canzoncine di stagione. La rima non cambia, la valutazione che possiamo fare di chi ha queste geniali pensate, sì.
Ma è Natale, e idealmente – assieme a voi tutti che passate davanti al Casello – vogliamo abbracciare anche quanti continuano a non voler comprendere quanto un piccolo Bambino sia in grado di cambiare le sorti del mondo.
Buon Natale a tutti!

L'ITALIA VIAGGIA AD ALTA VELOCITA', GENOVA NON PARTE NEMMENO.

E’ partita, con l’inaugurazione della nuova linea Milano – Bologna, l’era italiana dell’Alta Velocità ferroviaria. Con il Frecciarossa, l’ETR 500 di Ferrovie dello Stato, Roma e Milano distano oggi 3 ore e 30, senza fermate intermedie e meno di 4 fermando a Bologna e Firenze. E poi, si può andare da Milano a Bologna in 65 minuti, da Milano a Firenze in 2 ore e 10, da Napoli a Milano in 4 ore e 50.
È l’inizio di una vera e propria rivoluzione che cambierà da subito il modo di viaggiare degli italiani: percorrenze destinate, in un anno, a ridursi ulteriormente (allo studio un Roma Tiburtina – Milano Rogoredo in 2 ore e 45) con flessibilità nelle tariffe e comfort basato sull’attenzione alle esigenze del viaggiatore fin dalle fasi che precedono il viaggio. Insomma, una rete che può davvero far concorrenza all’aereo, come succede da oltre un quarto di secolo in Francia.
Ancora più stonata, perciò, è apparsa la protesta di uno sparuto gruppo di pendolari, che accusano la società guidata da Mauro Moretti di essersi preoccupata più dell’immagine e dei treni a lunga percorrenza rispetto ai treni regionali di utilizzo quotidiano. Un ragionamento con il fiato corto: è evidente, se si guardano le cose con il giusto distacco e la necessaria ponderazione, che la specializzazione delle linee non può che portare benefici anche al traffico locale, sgravato dalle perturbazioni e dalle precedenze portate dai treni a lunga percorrenza.
Non è stata un gestazione facile, quella della rete ferroviaria veloce. Dopo la prima tratta, inaugurata alla metà degli anni settanta, per assistere al completamento della Firenze – Roma si è dovuto attendere l’inizio degli anni novanta. Poi, a spizzichi e bocconi, sono entrate in funzione la nuova Roma – Napoli, la Torino – Novara, la Modena – Lavino, monconi della linea dorsale nord sud e di quella padana. Fino all’esordio ufficiale del 14 dicembre, ed in attesa del completamento delle tratte già parzialmente in esercizio (Novara – Milano), e di quelle progettate (Napoli – Salerno, Milano – Venezia).
E Genova? Una notizia buona ed una cattiva. Quella buona è il ritorno del Pendolino che in meno di quattro ore collegherà il capoluogo ligure a Roma. Quella cattiva è che, come per tante altre vicende, il rischio che non si riesca a salire sull’autobus dell’Alta Velocità è concreto. La logica del “maniman”, del “vorrei, ma non posso”, ha fatto sì che a momenti di grande entusiasmo e di convinte dichiarazioni d’intenti (di Terzo Valico, a differenza di quanto sostengono alcuni, si parla da oltre quarant’anni) seguissero fasi di inanità, tra mancanza di fondi e soprattutto di chiare ed univoche indicazioni politiche. Prigionieri di veti incrociati e spesso ostaggio di sciocchi campanilismi o assurde crociate vagamente tinte di verde ma in realtà al soldo dei fautori degli altri modi di trasporto, gli enti locali di casa nostra non hanno dimostrato l’energia necessaria per rimanere agganciati al treno veloce. Le possibilità che si rimanga a terra, a questo punto, sono forti.

CADESSE IL MONDO – nuovo cd di Fra Raf

Pastrano ci informa di un'interessante iniziativa che abbina musica e solidarietà. Vediamo di cosa si tratta.


La buona musica incontra la solidarietà grazie all’idea di Fra Raf, il frate cappuccino Raffaele Ruffo, padre guardiano del convento di San Barnaba, sulle alture di Genova.
Fra Raf ha messo a frutto il suo talento musicale realizzando il cd “Cadesse il mondo”, i cui proventi sono interamente devoluti a “La ciudad de los niños” la grandissima casa del fanciullo fondata dai frati cappuccini genovesi a Lima, in Perù.
"Cadesse il mondo" è innanzi tutto un disco di ottima musica. Dieci canzoni d’autore, arrangiate e suonate da musicisti che vengono dal rock e dal folk. “Mario Riggio e Beppi Menozzi, batterista e tastierista – racconta Fra Raf – vengono dagli Jus Primae Noctis, uno dei gruppi storici del rock progressivo genovese. Il chitarrista Paolo Donnini – continua il cappuccino – era una delle colonne del gruppo di new-country Hocus Pocus”. Questa formazione dà vita a un disco dal taglio funk rock e dal sapore progressivo, grazie anche alla verve di fra Raffaele, che oltre a essere un ottimo autore e cantante, ha un passato da bassista di heavy metal. “E’ stato lo stesso Fra Raf – racconta il tastierista Beppi – a suonare tutte le parti di basso del disco, anche se dal vivo lascerà lo strumento al giovane Claudio Lisci”.
I testi sono frutto di una ricerca interiore profonda, ma – eccetto una singola canzone – non contengono riferimenti religiosi espliciti. “Si parla di valori universali: coraggio, libertà, solidarietà, speranza, amore - spiega ancora Fra Raf – un’overdose di stimoli positivi in un mondo troppo spesso dipinto a sole tinte fosche”.
Oltre ai testi c’è tanta musica, con parti strumentali e spazi solistici. “E’ come un cappuccino con tanta schiuma – dicono scherzando i ragazzacci della band – la nostra musica ha sostanza con tanta schiuma sopra, per il piacere di chi ascolta”.
Il cd “Cadesse il mondo” verrà presentato in un concerto gratuito sabato 20 dicembre, ore 17 sala del Cineclub Chaplin (convento del Padre Santo, sopra Piazza Corvetto), in Piazza Cappuccini 1 , a Genova.
La realizzazione del disco è stata finanziata dai Frati Minori Cappuccini della Provincia di Genova e tutti i musicisti hanno contribuito gratuitamente. Tutte le altre notizie sono disponibili sul sito http://www.cadesseilmondo.com/


CADESSE IL MONDO - Testi e musiche di Fra Raf


Fra Raf: voce e basso
Beppi Menozzi: tastiere
Paolo Donnini: chitarre
Mario A. Riggio: batteria
Hanno collaborato: Verdiano Vera (arrangiatore), Ernesto Gucciardi (pianoforte), Francesca Marrè Bruneghi (voce), Stefania Fadda (violino), Dado Sezzi (percussioni)

Disponibile dal 20 dicembre 2008

http://www.cadesseilmondo.com/


Concerto di presentazione
DOVE: Sabato 20 dicembre 2008, ore 17 sala del Cineclub Chaplin, Piazza Cappuccini 1 , Genova.
FORMAZIONE: Fra Raf: voce e basso, Beppi Menozzi: tastiere, Paolo Donnini: chitarre, Mario A. Riggio: batteria, Claudio Lisci: basso
INGRESSO: gratuito

Ciudad de los Niños de la Inmaculada di Lima (Perù)
La “Ciudad de los niños” fu creata nel dopoguerra per l’iniziativa di un frate cappuccino ligure, Padre Illuminato, missionario in Perù, ed è tuttora gestita dai Frati Cappucci Peruviani.
Accoglie circa 500 ragazzi e adolescenti, provenienti da famiglie povere, sofferenti l’abbandono fisico e morale, vittime della violenza sociale e familiare.
Nella “Ciudad” ci si propone lo sviluppo integrale del ragazzo, attraverso la convivenza in un ambiente di libertà e responsabilità, offrendo un’educazione e formazione cristiana, oltre che una formazione lavorativa.
www.ciudaddelosninos.com.pe

Fra Raffaele Ruffo
Frate Cappuccino, sacerdote, nato a Genova nel 1966. Inizia a suonare il basso a diciassette anni, prendendo alcune lezioni da un contrabbassista buddista. Suona heavy metal per alcuni anni, per poi passare al genere piano-bar. Nel 1992 inizia il cammino per diventare frate e, negli anni seguenti, in occasione di incontri di preghiera o di evangelizzazione, riprende a suonare il basso.
Nel giugno 2007 comincia a scrivere canzoni accompagnandosi con la chitarra. Le propone agli amici, che dimostrano di apprezzarle molto.
In seguito nasce l’idea di inciderle in un disco, unendo l’idea di offrire il ricavato in beneficenza a favore delle missioni dei Frati Cappuccini che operano in Perù.

ANCHE QUEST'ANNO PRESEPI IN MOSTRA ALLA FONDAZIONE ASSAROTTI

Torna anche quest’anno, organizzata dalla Fondazione Padre Ottavio Assarotti presso l’Istituto dei Sordomuti, la Mostra dei Presepi. Dopo il grande successo dello scorso anno, ottenuto grazie all’impegno di alunni, insegnanti e genitori, e al risalto dato all’iniziativa dai media, nuova edizione per questo concorso che vede partecipare le diverse classi delle scuole dell’Istituto (infanzia ed elementare).
Lo scopo è quello di suscitare momenti di aggregazione e di gioiosa creatività attorno al Presepe, facendo rivivere la magica atmosfera di un evento che è alla base della Fede Cristiana, coinvolgendo i bambini e le loro famiglie.
Ad ogni classe viene riservato un tavolo dalle dimensioni di cm. 160 x 90, misure massime ammissibili per ciascun presepe, con annesso collegamento elettrico.
Per rendere più varia ed interessante l’esposizione sono inoltre ammessi alla partecipazione, fuori concorso, presepi realizzati da familiari degli alunni e amici della Scuola.
I lavori saranno esposti nell’ Aula Magna della Scuola che resterà aperta ai visitatori dal giorno 12 al giorno 21 dicembre e dal giorno 7 al giorno 10 gennaio 2008.

Un’apposita Giuria assegnerà i premi ai lavori giudicati più meritevoli, originali e spontanei. Sarà compilata anche una classifica sulla base del voto espresso dai visitatori mediante una scheda che sarà consegnata all’ingresso. La classe vincitrice si aggiudicherà il “premio dei visitatori”. E’ previsto anche un attestato di partecipazione che sarà consegnato a tutti i giovani artisti. Il materiale occorrente sarà fornito dalla Scuola.
La premiazione si svolgerà nella Sala Convegni della Soc. Iride (g.c.) Via Serra n. 3 sabato 10 gennaio 2009 alle ore 10,30 e si concluderà con una sostanziosa merenda per piccoli e grandi.

In un libro i Caduti della RSI a Genova


Pubblichiamo qui l’interessante recensione di un libro sui Caduti della RSI a Genova inviataci da Francesco, che ringraziamo.

Nel più ampio contesto di rilettura degli avvenimenti storici dello scorso secolo, mutato (finalmente!) l’oppressivo e dogmatico clima culturale grazie anche alla tenace opera di quanti, non senza sofferenza personale, hanno osato sfidare quella che Renzo De Felice ha definito la “Vulgata resistenziale” e Giampaolo Pansa “La grande bugia”, stanno trovando maggiore spazio mediatico in questi ultimi anni testi che mettono in risalto anche le verità della parte degli sconfitti del 1945.
A qualcuno piace chiamarlo con il termine “Revisionismo” – anche a noi, perché De Felice è una stella polare, e lui lo usava – altri utilizzano termini simili, per finire con chi, in nome della democrazia, il fatto che si possa dare credito a tutte le opinioni non lo digerisce proprio.
E finalmente, anche per quanto riguarda Genova (città difficilissima, da questo particolare punto di vista), si alza un po’ di quella cappa di oscurantismo, sui caduti della R.S.I. nella nostra città. Il merito va a tre grandi penne "nostrane": Francesco Tuo, Pierfranco Malfettani e Carlo Viale, che dopo decenni di ricerche meticolosissime, sono riusciti a realizzare una vera e propria enciclopedia storica sui tragici fatti avvenuti dall'8 di settembre 1943 alla fine del 1946.Documenti storici, ricostruzioni basate su fonti dirette, ricerche negli archivi locali e nazionali, hanno portato alla ribalta storie meravigliose di donne, ragazze, ragazzi e uomini passati per le armi, durante e dopo (è questa la zona di maggiore infamia dell’intero contesto) la Seconda Guerra Mondiale, rei solamente di una cosa: non aver tradito il loro ideale, a prescindere da ogni considerazione su quanto giusto o sbagliato potesse essere.Il libro, corredato di un gran numero di fotografie e atti ufficiali d'epoca, parla di tutti i caduti appartenenti alla R.S.I. in terra genovese, lungo le oltre 800 pagine di questa ponderosa opera che non può mancare negli scaffali dell’appassionato di storia e di chi apprezza una lettura ad ampio spettro e non minata da preconcetti delle vicende verificatesi negli ultimi anni di guerra.

Francesco Tuo, Pierfranco Malfettani e Carlo Viale – I caduti della RSI Genova 1943-46 Ed. Tradizioni.

Uno strano ammaraggio

Non ci è simpatico, Chavez. Un demagogo di sinistra che accompagna proclami di autonomia decisionale rispetto ai potenti della Terra ad amicizie poco raccomandabili e a frequentazioni di pessimo gusto. Non solo politicamente, ma anche dal punto di vista del Diritto Penale. In altre epoche storiche, gli USA lo avrebbero fatto detronizzare (meritatamente) senza troppe smancerie.
Ospitiamo con grande piacere, quindi, il contributo di Daniele, un amico che con il suo treno passa davanti al Casello fin dall’esordio.


"Lo scorso lunedì sera, con l'intento di vedere l'annunciatissimo servizio sul raid degli estremisti di destra alla redazione di "Chi l'ha Visto?", per la prima volta in vita mia mi sono sorbito una puntata del popolare e ormai storico programma di Rai 3. A parte la considerazione su quanta gente di tutte le età e classi sociali scompare in Italia e su una rima di una canzone di Jovanotti la quale diceva che "ormai con Chi l'ha Visto nessuno è più libero di scappare in santa pace", mi ha particolarmente impressionato un servizio sugli italiani scomparsi in Venezuela, che inizialmente si credeva fossero morti in un incidente aereo. Peccato che dell'aereo non sia mai stata trovata traccia e che le incongruenze con la prima ricostruzione fornita dal personale al radar dell'aeroporto più vicino fossero davvero incredibili. Per esempio si sosteneva che il pilota nei 10 minuti compresi tra l'annuncio della contemporanea rottura di tutti e due i motori (circostanza anche questa giudicata impossibile dagli esperti) e il tentato ammaraggio, fosse rimasto in assoluto silenzio. Inoltre non sono mai state trovate tracce dell'aereo (cosa mai accaduta in seguito ad un ammaraggio) e il corpo del pilota (l'unico rinvenuto) è stato ritrovato un mese dopo, annegato, su una spiaggia al confine con la Colombia. Inoltre i telefoni cellulari di alcuni passeggeri hanno continuato a suonare per alcuni giorni in una "cella telefonica" sita proprio nel paese che diede i natali al mitico Faustino Asprilla. L'ipotesi paventata da alcune parti è che i passeggeri del volo possano essere stati rapiti dalle Farc, l'esercito paramilitare di ribelli (comunisti, n.d.b.) che agisce in Colombia da decenni. Ad aggiungere inquietudine ai familiari dei dispersi, la sensazione che le indagini siano più o meno velatamente ostacolate addirittura dal dittatore venezuelano Chavez, che si dice ebbe un ruolo decisivo nel mediare con le Farc in occasione della liberazione della francese Ingrid Betancourt, rimasta ostaggio dei "guerrieri della giungla" per più di sei anni.
Davvero una sinistra coincidenza infatti quella che vede coinvolto il presidente venezuelano, che di recente ha nazionalizzato l’industria petrolifera venezuelana e in prima linea nella “guerra all’etanolo” contro il Brasile di Lula e gli eterni nemici americani.
Insomma l'ex amante di Naomi Cambell sembrerebbe dare pertanto adito alle voci che lo vedono vicino ed addirittura colluso con le Farc.
Tra i "presunti" rapiti italiani c'è una famiglia con due bambini di 7 e 9 anni e una coppia in viaggio di nozze.
Al presidente Napolitano e alla classe parlamentare tutta l’invito a non lasciar cadere nel dimenticatoio l’incresciosa vicenda e a sollecitare in ogni forma e modo lo svolgimento di indagini volte al raggiungimento unico della verità."

Alta velocità? Si, grazie!


E’ una mattina qualunque: una delle tante autostrade ad una sola corsia – l’altra è riservata ai camion - che transita per Genova è bloccata. Il canale radiofonico che ci consiglia a frittata fatta le strade alternative che avremmo potuto scegliere spiega che i mezzi pesanti si sono intasati nella zona portuale per le operazioni di carico e scarico. Da lì, primo nodo autostradale italiano in ordine cronologico (e si vede), punto nel quale converge ogni camionstrada afferente la Superba, per imbibizione, centinaia di automobilisti di ogni provenienza, professione e categoria sociale si trovano progressivamente inchiodati, come in quei domino da Guinness dove gli studenti di una scuola media tailandese buttano giù tonnellate di tessere che nell’abbattersi lungo mille piste disvelano alle telecamere una perfetta riproduzione della Gioconda.
Peccato, mi viene da pensare. Proprio quando i novelli esperti di trasporti mi stavano convincendo dell’assoluta inutilità di nuove infrastrutture ferroviarie, opere faraoniche e già superate al momento del progetto, di nefasto impatto ambientale (anche quando corrono per decine di km. in galleria),
giusto per un attimo provo ad immaginare lunghi treni intermodali che incrociano pesanti convogli passeggeri a lunga percorrenza su una nuova bretella che origina poco prima di Arenzano, salta in galleria tutto il nodo di Genova e poi si biforca, sbucando a nord oltre l’Appennino e a Levante tra Pieve e Sori, lasciando l’attuale sede al traffico metropolitano o ai treni a lunga percorrenza che interessano la mia città.
E’ inutile oggi costruire opere di quel genere: l’impatto ambientale è violento e ingiustificato, e quando saranno pronte probabilmente il treno non esisterà nemmeno più. Certo, chi sostiene queste tesi confonde spesso la rotaia con il binario, ma non è da queste piccolezze che si deve giudicare l’esperto.
Eppure… eppure tutte le volte che vado a Milano (e ritorno), per cinque minuti o per mezz’ora (di peggio, su un’ora e mezza appena abbondante è difficile fare) il treno è regolarmente in ritardo.
Tra Roma e Napoli oggi ci sono tre linee a doppio binario. L’ultima nata, che pure per ora si ferma a Gricignano, ti fa arrivare sotto il Vesuvio in anticipo di mezz’ora sull’orario. L’ho sperimentato di persona. Tra Genova e Milano i binari sono quattro fino al confine col Piemonte (due dei quali inaugurati da Cavour, e non sto scherzando, alla metà dell’Ottocento), in coabitazione con la linea per Alessandria/Torino, e poi diventano due, sui quali gravano traffici di ogni tipo e percorrenza. Risultato: la vecchia “Camionale” stravince il confronto.
Contro il TAV (Treno ad Alta Velocità, cioè da 200 km/h in su: sta facendo le fortune del sistema dei trasporti in Francia, in Germania, in Spagna, e si potrebbe continuare) sono state utilizzate le più varie e mistificanti argomentazioni, da meschine pruderie campanilistiche ad anacronistiche epperciò ridicole categorie classiste (Eurostar = treno da ricchi), per finire con le bizzarre teorie di larga parte del mondo ambientalista, preoccupato più dell’impatto di una nuova ferrovia che non di quello di un traffico autostradale giunto a livelli intollerabili per la salute e l’incolumità dei cittadini. Due dati di fatto per chiarire i concetti: durante la chiusura del traforo del Monte Bianco (e la conseguente sparizione del traffico pesante), in Valle d’Aosta si calcolò nell’80% la diminuzione delle malattie respiratorie da inquinamento nei territori attraversati dalla strada di fondovalle; e la compartecipazione – chiamiamola così - dei mezzi pesanti agli incidenti autostradali ha percentuali bulgare.
Eppure… eppure una corte dei miracoli fatta di personaggi che non hanno mai visto una gallina e conoscono il trolley solo come bagaglio a mano cerca di spiegarci che l’Appennino non resisterebbe ad una nuova ondata di scavi. Meglio non raccontare però che una nuova linea ferroviaria, oltre che mille volte meno inquinante, meno invasiva e più sicura di un’autostrada, libererebbe tracce orarie per treni merci o per pendolari, o anche solo per far arrivare puntuali i convogli già in orario, sennò a qualcuno l’idea della linea ad Alta Velocità/Alta Capacità (con le maiuscole, si usa così) potrebbe piacere. E ai sinistri difensori del popolo questo non andrebbe giù.

L'importante è protestare...

Si ha spesso l'impressione, di questi tempi, che in mancanza di alternative valide (ad esempio sul piano dei numeri, o su quello dei risultati) l'attuale opposizione cerchi di mobilitare tutte le sue risorse per contrastare in qualche modo l'azione del Governo, a volte attaccandosi a principi diversi e contrapposti (e ci può stare), altre volte al nulla, con effetti grotteschi.
Senza entrare nel merito, in un periodo nel quale uno dei bersagli principali è rappresentato dalla pervicace volontà di cambiamento del Ministro dell'Istruzione Gelmini, si evidenzia per bizzarria tra le molte proteste quella inscenata da un gruppo di docenti, ricercatori e studenti di Scienze Politiche a Firenze, della quale diamo conto nelle righe che seguono.
"Docenti lavavetro, protesta contro il decreto GelminiOggi a mezzogiorno la singolare iniziativa dei professori di scienze politiche. Da ieri ripresa l’attività didattica: «Altri blocchi avrebbero pregiudicato l’anno».Laveranno i parabrezza delle auto e distribuiranno volantini per spiegare perchè sono contrari alle norme introdotte dal governo che riguardano la riduzione del finanziamento pubblico al sistema universitario. Ad attuare la protesta, oggi, dalle 12 alle 13, fra via Forlanini e viale Guidoni, nella zona di Novoli, i ricercatori e i docenti della facoltà di Scienze politiche.Pronta la replica di Forza Italia Giovani, che, in concomitanza con la curiosa manifestazione dei professori, ha indetto un volantinaggio pro 133. «Saremo presenti con il nostro materiale informativo - si legge in una nota per invitare gli automobilisti e non solo a comprendere a fondo l’azione del Governo Berlusconi, senza fermarsi in superficie alla demagogia della sinistra. Le occupazioni e lo stop alla didattica ed iniziative vergognose, quali il blocco dei binari, non servono a niente se non a gettare nel caos un mondo universitario malato che necessita di riforme».«Ribadiremo con il nostro volantinaggio ai semafori aggiungono, quanto andiamo avanti a dire da settimane in difesa della Legge 133. Purtroppo lo sappiamo, anche quando vi sono delle palesi situazioni di antifunzionalità nelle Università, toccare lo status quo è un’ardua impresa che fa immancabilmente scatenare tutti coloro che nello status quo ci vivono. La verità è che questo Governo di centrodestra è l’unico che sta avendo il coraggio di curare l’Università».Intanto il consiglio di facoltà di Scienze matematiche fisiche e naturali ha deciso di cominciare ieri l’attività didattica, «perchè un ulteriore rinvio provocherebbe il blocco dell’anno accademico». Il polo scientifico rimane occupato per continuare a manifestare dissenso contro la legge 133, ma le lezioni non saranno bloccate. «Il polo rimane occupato - affermano gli studenti - perchè l’obiettivo principale, ovvero il ritiro della legge, non è stato ancora raggiunto. Perciò il blocco aule rimarrà occupato e da qui verranno organizzate le iniziative».Anche il Sum di Firenze si associa alla richiesta al Ministro Gelmini. Un provvedimento di sistema per assicurare la messa a regime e il finanziamento delle Scuole Superiori a ordinamento speciale all’interno del sistema universitario e di ricerca del Paese. Lo chiede al Ministro dell’Università e Ricerca, Maria Stella Gelmini, la rete delle Scuole Superiori a Statuto Speciale (tra queste il Sum di Firenze).La lettera è stata resa nota dal coordinatore della rete, Salvatore Settis, direttore della Normale di Pisa. «Quali che siano i futuri assetti dell’università, un punto è comunque irrinunciabile: la necessità di valorizzare e premiare la qualità della ricerca e della didattica, di riconoscere e promuovere il merito e il talento dei giovani, di offrir loro nelle istituzioni pubbliche sicure prospettive di lavoro e di carriera. Solo così potrà essere assicurata la prospettiva di produzione della conoscenza, progresso nella ricerca e nella vita civile, sviluppo nell’innovazione e nell’economia che il Paese ha il dovere di assicurare alle generazioni future», scrivono i direttori delle scuole superiori.«Temi di cruciale importanza per tutti gli Atenei quali incentivare la qualità, promuovere l’internazionalizzazione, valutare rigorosamente i risultati della ricerca, della didattica e delle capacità gestionali, incoraggiare e premiare l’innovazione e la responsabilità possono trovare nelle Scuole Superiori un opportuno campo di sperimentazione avanzata. Perciò riteniamo importante che, nel quadro dei provvedimenti sull’università, la funzione delle Scuole Superiori a ordinamento speciale venga adeguatamente riconosciuta, garantita e promossa mediante un provvedimento di sistema che ne assicuri la messa a regime e il finanziamento, fissandone i parametri sulla base delle consolidate esperienze e indicando standard e criteri di valutazione calibrati sulle peculiari caratteristiche di tali Scuole e coerenti con quelli dell’intero sistema universitario»."
Fonte: Quotidiano Il Firenze del 4 Novembre 2008

Baciccia, sapori di Genova

Ho imparato molto sull’enogastronomia italiana leggendo le pagine di Luigi Veronelli, un fuoriclasse del quale parlerò, prima o poi, nell’apposito spazio.
So quanto il Vate della cucina (lo dico nel senso più nobile dell’espressione) osservasse ogni minimo dettaglio dei luoghi che visitava. L’occhio vuole la sua parte, in sala da pranzo ed in qualunque altra stanza della casa.
Conosco altrettanto bene la sua profondità, la sua acutezza, il suo sguardo distaccato e professionale che sapevano scavare ben sotto la crosta delle apparenze. Sono certo che avrebbe apprezzato Baciccia, la trattoria dove consumo di frequente i miei pranzi nei giorni di lavoro ormai da molti anni.
Pochi tavoli, aperto nella sede storica di Via del Colle solo a pranzo e nei giorni feriali, poco più di due ore di fuoco tra mezzogiorno e le due e mezzo con un ricambio continuo di pause pranzo che si rincorrono e che non vogliono arrendersi alla logica del tramezzino gommato, Baciccia mette fianco a fianco – letteralmente - l’onorevole e la studentessa, l’assessore e l’avvocato, lo scrittore ed il bancario per un primo o un secondo che cambia tutti i giorni, un bicchiere di vino, un frutto di stagione e due parole di calcio o di politica.
Da provare lo stoccafisso in umido del venerdì, però – attenzione! - bisogna arrivare presto. Non ne troverete uno uguale in tutta Genova. Ma anche i dolci fatti in casa: le torte, la crema catalana, i tartufi, e le tante variazioni sul tema.
Nel breve tempo a disposizione tutto è su misura, anche il conto. Ma non chiedete il caffè: terreste i tavoli occupati troppo a lungo…

4 novembre: perchè è giusto celebrare.

Il quattro novembre ricorre il novantesimo anniversario della Vittoria, quella con la maiuscola che ancora quando andavo alle elementari era la festa nazionale che ricordava il compimento del percorso risorgimentale e la declinazione in stato unitario di una nazione, quella italiana, che può vantare – esempio raro – due millenni di storia.
Una ricorrenza importante, da celebrare con solennità ed enfasi, anche se non mi sentirei di definirla propriamente una festa: a fianco delle motivazioni che possono portare ad un sentimento collettivo di euforia (la vittoria, la Patria finalmente riscattata, la consapevolezza di essere popolo e comunità nazionale) c’è però il grande rispetto per le migliaia di vite travolte da eventi tragici, ed i grandi sacrifici sopportati dai nostri padri e nonni.
In questo contesto, che non mi pare poi così grondante di sciroppi nazionalistici e patriottardi, c’è sempre chi riesce a sorprendere per intempestività e acrimonia: basta guardare l’acida campagna di boicottaggio alle celebrazioni lanciata da “Liberazione”, il quotidiano rifondarolo, che annovera tra i protagonisti personaggi dei quali si potrebbe citare l’ormai classico “Nomen Omen” (Mao Valpiana, Lidia Menapace…) ed il sempre sgradevole e rozzo Angelo D’Orsi. Questo sedicente studioso è noto fra le persone di normali capacità intellettive soprattutto per le strampalate teorie in base alle quali sarebbe necessario vietare ai dilettanti – con specifico riferimento a Giampaolo Pansa, che però lo sbeffeggia al punto che se io fossi in lui girerei sempre mascherato con il complesso “occhiali-naso-barba” per la vergogna – di raccontare la storia, in modo che a farlo siano solo i “professionisti” (come il livido D’Orsi). Capito, il democratico?
Ebbene, questo mistificatore del tempo passato, questo Cagliostro della memoria si chiede, retoricamente, cosa ci sarà mai da festeggiare. In altri contesti più evoluti la storia la si studia, e pure bene, e il novantesimo della Grande Guerra non è occasione per libagioni ma per convegni e approfondimenti, lontani da quella che il titolo definisce la “canea nazionalista”, dalla quale è salubre tenersi alla larga. Una guerra che produsse enormi cambiamenti, tra i quali un nuovo protagonismo delle masse di cui – questa è bella – le rivoluzioni russe furono il frutto buono (sic!) mentre nazismo e fascismo rappresentarono quello avvelenato.
Non vale la pena dilungarsi su certe posizioni, sia per quanto dicono – mi chiedo come sia possibile nel 2008 anche solo continuare a pensare che il comunismo, soprattutto quello “reale”, non sia un’ideologia orribile, per persone dotate di comune buon senso -, sia per chi le dice, gente che – scrisse qualcuno – se l’Italia fosse in guerra contro i pidocchi si schiererebbero con i pidocchi pur di non stare con l’Italia.
Per rispondere a tono, per definire nel modo migliore quello che dev’essere il vero sentire comune della nostra comunità nazionale di fronte a momenti come questo, riporto alcuni brani dell’articolo che Giangaspare Basile, redattore capo de “L’Alpino”, il mensile edito dall’Associazione Nazionale Alpini (non certo una pericolosa congrega di reazionari), di cui ho l’onore ed il privilegio di far parte, dedica all’evento. Non c’è enfasi, né canea nazionalista, né epica guerrafondaia, come pretenderebbe qualcuno. C’è invece il buon senso di saper guardare in tutte le medaglie entrambe le facce. Una cosa incomprensibile per il totalitarista autentico.

“C’era una volta… la Grande Guerra. La fine non fu celebrata più di tanto: perché la pace fu considerata “mutilata” per l’accettazione solo parziale delle richieste italiane alla Conferenza di Parigi, perché gli intellettuali e le tante voci incendiarie che avevano spinto al conflitto ne stavano raccontando gli orrori, avendo perso nelle trincee del Carso e dell’Ortigara ogni furore. Ma soprattutto per le condizioni sociali ed economiche comuni a tutti i Paesi belligeranti, condizioni che in Italia (e in Germania) avrebbero portato alla dittatura e all’isolamento degli interventisti pentiti.
Nel secondo dopoguerra si è andato progressivamente affievolendo il senso di appartenenza nazionale, con conseguente decadimento dei valori e perdita di identità. L’occasione di riproporci il nostro recente passato ci è stata data dalla scadenza del 90° della fine della prima guerra mondiale. Non che le genti del Triveneto ne avessero bisogno (fu combattuta sulle loro terre che ne conservano ancora tante testimonianze), ma ne hanno bisogno tutti gli italiani in generale, per riprendere coscienza della conquistata e sofferta unità.
La ricorrenza è molto di più d’un semplice anniversario storico: ci riporta al ompimento del nostro Risorgimento attraverso tante celebrazioni, convegni, eminari, saggi, pubblicazioni di memorie che raccontano – al di sopra di ogni suggestione o condizionamento ideologico – quanti infiniti e sovrumani sacrifici abbiano sostenuto i nostri Padri, quali sofferenze e devastazioni abbia sopportato il nostro Paese. E ci ammonisce – dopo aver abbandonato il secolo più sanguinario e devastante che la storia ricordi, per la dimensione e la frequenza delle guerre che l’hanno attraversato – che tutto ciò non deve accadere mai più.”

A Torino i "Poequadri" di Ermanno Eandi


Dal 7 fino al 22 di novembre la galleria d’arte ACI Gallery, in Corso Novara, 20H a Torino , ospiterà la mostra "Dove sarò ieri?", nella quale verranno esposti i "Poequadri", i quadri poetici di Ermanno Eandi, uno dei quali - per gentile concessione dell'autore - può essere ammirato qui a fianco.

I “Poequadri” sono un modo nuovo e originale di proporre la poesia, da anni collaudato da Ermanno Eandi, poeta, scrittore e giornalista. Si tratta di quadri poetici, sovente con immagini di artisti amici dell’autore con sotto piccoli, ma efficaci aforismi, oppure vere e proprie poesie.
Le opere affrontano varie tematiche, dal sociale all’amore, sempre con la sensibilità della poesia.
www.eandiermanno.it

La credenza nel Bisagno

Credo siano molti gli aspetti della gestione cittadina che non piacciono ai Genovesi. I quali, peraltro, e storicamente, preferiscono lasciare al potere gli autori dello sfascio sostanziale degli ultimi decenni, quasi fossero preda di una sorta di Sindrome di Stoccolma.
Ci saranno molti spazi per parlarne, anche in futuro. Oggi, però, mi devo soffermare su un aspetto che mi colpisce in maniera particolare: la pulizia della città. E non perché ritenga che Genova sia particolarmente sporca, o che il servizio di igiene urbana funzioni peggio di altri. Devo dire che, girando un po’ l’Italia, esistono città messe molto peggio, a volte insospettabilmente. E non parlo di casi limite, come Napoli: basta fermarsi qualche giorno a Bologna per trovare una realtà che sorprende in modo negativo chi vive sotto la Lanterna.
Ciò che mi colpisce è la filosofia dell’igiene urbana genovese (e non solo) degli ultimi anni. Parto da un presupposto: con oltre trent’anni di scautismo sulle spalle, io la natura la conosco sul serio, e non accetto che l’ecologia me la spieghi qualche verde da strapazzo che dal suo salotto straparla di riciclaggio, di inquinamento, di animali e non ha mai visto una gallina.
Detto questo, io la raccolta differenziata la faccio da quando ancora non esistevano le campane, e francamente me ne infischio della possibilità che sia solo un modo per truccare le carte (“Eh – dice sempre qualcuno – ma ci credi tu? Chissà cosa ne fanno, una volta raccolta! Io ho uno zio del cugino di mio cognato che conosce uno che ha un’edicola dove va sempre a comprare il giornale il portinaio del pediatra del figlio di uno dell’AMIU, che mi ha detto che poi tanto la mischiano tutta!”).
Che la sindachessa mi aumenti ogni anno la tassa sulla spazzatura, dicendo che noi genovesi siamo cattivi e dovremmo riciclare di più, mi fa sentire preso in giro. Sto seriamente valutando l’ipotesi di continuare a fare la raccolta differenziata versando però per protesta la plastica nel vetro, il vetro nella carta e la carta nella plastica.
Ma la cosa che trovo più sconcertante è che i comportamenti virtuosi, lungi dall’essere premiati, vengano penalizzati. I greti dei fiumi sono pieni di materassi e comò che ciclicamente, ingombrando gli alvei, contribuiscono alla furia devastatrice delle sempre più frequenti alluvioni. Chiediamoci il perché: solo pigrizia? No, perché le aziende preposte vogliono essere pagate per smaltire l’armadio o la lavatrice. Non solo: per regolamento, pretendono che l’oggetto da ritirare sia stato smembrato nelle sue componenti più elementari. Cioè: se devo buttare via una credenza, devo togliere come minimo ante e ripiani, se non addirittura assi e pareti. Poi arrivano loro e, previo pagamento, si portano via comodi comodi i pezzi così disassemblati.
Mi si dirà: è un servizio, e come tale – se ne vuoi fruire – devi pagarlo. Già. In banca, forse. Sugli autobus, anche. Non paghi = non sali. Se ti beccano, multa (ma solo se sei italiano, come ho spesso avuto modo di verificare). Sull’igiene urbana, se non vuoi pagare cacci la roba in qualcuna delle tante discariche abusive, e prima o poi l’AMIU sarà costretta a portarlo via comunque, ovviamente senza guadagnarci un centesimo ed anzi a costi indubbiamente superiori.
Se è vero – e lo è – che la sensibilità ambientale, la cosiddetta “sostenibilità”, è un valore importante, persino da un punto di vista economico, perché le scelte corrette impostate oggi avranno un effetto oggettivo anche sul domani nostro e dei nostri discendenti, da cittadino pretendo che il comportamento virtuoso sia premiato. Scelgo di smaltire la vecchia credenza in modo rispettoso delle leggi e della natura, quindi non solo non pago niente, ma la zia Marta mi riduce – anche solo simbolicamente – la tassa sullo smaltimento dei rifiuti.
Altrimenti una telefonata anonima avvertirà la Volpara di andarsi a prendere la credenza sul greto del Bisagno…

Il treno in riserva?

Per lunga frequentazione e passione personale, provo un sincero affetto per le Ferrovie dello Stato. La cosa non m’impedisce di tenere un atteggiamento severo il giusto verso l’azienda, le sue scelte spesso discutibili, le sue pecche macroscopiche, frutto peraltro molto di frequente di decisioni scellerate prese altrove, e con l’intenzionale finalità di favorire qualcuno.
Trovo inescusabili, invece, alcune interpretazioni ferroviarie della lingua italiana. Chi prenota il viaggio su Internet – a me capita di frequente – ha il grande vantaggio di poter evitare le code alle biglietterie e di poter salire sul treno con l’e-mail di conferma stampata comodamente a casa o in ufficio.
In caso di pagamento da posticipare, uno dei moduli che arrivano per posta elettronica porta la dicitura “Riservazione”. Riservazione?!? Un termine che assolutamente non esiste, tanto è vero che persino il traduttore di Word (che non è un mostro di precisione) lo sottolinea in rosso.
La parola esatta è “prenotazione”, italiana e quindi bella come il sole, e devo riconoscere che quasi ovunque nel sito di Trenitalia campeggia la dicitura esatta. Stona, perciò, questo orribile “riservazione”, classico caso di goffa italianizzazione di un termine anglo.
Detto per inciso, di “riservazione” viene fatto invece un uso continuo e fastidioso nella terminologia alberghiera e turistica adottata nella Svizzera Italiana, dove la lingua di Dante dovrebbe essere utilizzata come e quanto da noi. Ma lì, al limite, hanno la scusa delle molte lingue ufficiali, per cui la contaminazione può essere dettata dall’esigenza di farsi capire da francofoni, svizzeri tedeschi e retoromanci.
Già che ci siamo, facciamo le pulci agli annunci diffusi nelle stazioni. A Genova, la voce femminile dell’altoparlante pronuncia – ci avrete fatto caso – la località di Voltri con una “o” sonora, quella di “poco”, che nulla ha a che fare con la “o” cupa, quella di “molto”, che dovrebbe essere usata. Incomprensibile, poi, la scelta di sostituire la parola “anziché” con “invece”. Il treno xy arriverà sul binario 1 invece che sul binario 2” suona molto più popolaresco e grossolano rispetto al precedente e più colto “anziché”. Come se si fosse scelto di retrocedersi di un’ottava. Forse per essere più intonati con la qualità del servizio…

Voci e volti di Liguria

La Liguria, nel comune intendere, è spesso sinonimo di mugugno, di braccino corto, di resistenza al cambiamento, di silenzi e di egoismi. Un’immagine olografica forse un po’ stinta, ma che talvolta i Liguri stessi – intenzionalmente o no – tendono a rinfocolare.
Esiste però, e ci mancherebbe, una Liguria viva, vitale, intraprendente. Una terra d’eccellenze e di tradizioni, capace di fare e di amare, di pensare in grande e di slanci di generosità che, da striscia di terra fra mare e monti, la trasformano in continente.
E’ questa la Liguria che si ritrova nelle pagine di “Voci e volti di Liguria”, piacevolissima opera prima di Enzo Melillo, volto assai cari ai telespettatori liguri, giornalista della sede Rai di Genova. Il libro nasce dall’esperienza che l’autore ha vissuto lavorando al “Settimanale” di rai 3, al successo del quale ha contribuito dal 2003 ad oggi con il suo stile gradevole e colloquiale.
Lo stesso stile che il lettore riconosce nelle 46 vicende che Enzo Melillo, per i tipi della Fratelli Frilli Editori, ha voluto ricostruire nel suo libro, e che vedono protagonisti personaggi e tradizioni ma anche autentici eroi di tutti i giorni: chi cerca di mantenere in vita antichi mestieri, campioni in rampa di lancio, storie d’ingegno che salva la vita (come la commovente storia di “Caterina” che apre il volume), e straordinarie imprese di solidarietà e d’aiuto ai più deboli, vissute con semplicità e senza clamori.
Il tutto raccontato con squisita sensibilità dall’autore, quella stessa sensibilità che lo ha portato – con la preziosa collaborazione della moglie Margherita – a realizzare in prima persona la versione audio, a beneficio delle persone non vedenti.
Un’opera che si legge con piacere, adatta ai divoratori di pagine ma anche a chi ama sgranocchiare un capitolo al giorno, e che non può mancare sullo scaffale del cultore della Liguria e della sua gente.

La Corazzata Potemkin è una boiata pazzesca!

Tutti ricordiamo la famosa declamazione fantozziana alla proiezione del film per gli “inferiori” vessati dal capo maniaco del cinema d’essai. Un atto di ribellione comico all’interno del film (anche per la contrapposizione con pellicole di tutt’altro genere, tra le quali spicca “Giovannona Coscialunga”), ma anche una vera e propria requisitoria verso quella cultura impegnata – quella così seriosa che nelle università combatteva (combatteva!) la goliardia, quasi provocandone l’estinzione – che, soprattutto nei plumbei e ben poco memorabili anni settanta, riteneva degni di attenzione libri, film, pieces noiosissimi, articolesse paternalistiche, musica inascoltabile che si raccontava addosso. E solo di autori amici (e schierati). Con riverberi persino nelle arti figurative e nel design.
Ne facevano le spese eccellenti musicisti, attori, scrittori, spesso molto più bravi di altri ma, ahimè, non schierati, non sufficientemente impegnati, o magari – anatema! – non di sinistra.
Dato che siamo dichiaratamente revisionisti, faremo revisione anche di questo passato spazzatura. Anche perché odiamo i tromboni (e la nostra cultura ne è sempre stata piena), e perché ancora oggi – anche tra i giovani – c’è chi si ostina a dire che “La Corazzata Potemkin” è un film bellissimo e Totò un guitto da quattro soldi.

Divieto di strafalcione

Difendiamo l’italiano…eh, sì, perché c’è proprio bisogno di farlo. E più giro – per lavoro o per altri motivi – e più mi rendo conto che la realtà è proprio questa.
Premetto che mi considero un estimatore della nostra lingua, che trovo straordinaria per ricchezza e musicalità, il ragionamento da cui parto si basa su due assunti fondamentali:

1. l’italiano è in crisi, come molte altre lingue europee, e rischia di ridursi – nell’era della globalizzazione – a qualcosa di poco più importante di un dialetto regionale;
2. l’italiano, come molte altre lingue, rischia un profondo imbastardimento ed imbarbarimento per l’assunzione acritica, o la traslazione “tutto compreso” in neoitaliano, di anglismi che non hanno una traduzione esatta nella nostra lingua;
3. infine, l’italiano parlato e scritto sui principali mezzi di comunicazione è sempre meno bello da sentirsi o da leggersi. Errori di ortografia e sintassi, accenti sbagliati, per non parlare del congiuntivo che praticamente è stato abolito. In considerazione del fatto che l’impatto di questi mezzi è enorme, anche dal punto di vista educativo, la lingua ne risente.

Mi si potrà obiettare che l’italiano è una lingua viva, e come tale sempre soggetta ad un processo di contaminazione con le lingue con le quali viene a contatto. Ok, sono d’accordo.
Ma se qualcuno si sente nel potere di scrivere a qualcun altro: “Ti risponderò a.s.a.p. (= as soon as possible), invece che “il prima possibile”, oppure invita gli altri a:”Mandami una e-mail, pls (=please), invece che “per piacere”, allora scattano i meccanismi di autodifesa.
Se un noto uomo politico, già ministro, famoso per gli strafalcioni e le frasi sconclusionate, si giustifica dicendo che “l’importante è che la gente capisca”, e anzi si fa vanto di quest’atteggiamento perché – a suo dire – più vicino al popolo, io invece dico che al contrario è fondamentale che chi riveste un ruolo pubblico per primo sia consapevole del suo ruolo educativo e di difesa delle nostre tradizioni. E l’atteggiamento di questo signore, ex di molte cose, è proprio da cassare - non uso il verbo a caso - senza remissione.
Segnalatemi qui i vostri strafalcioni preferiti: ne rideremo insieme.

Perchè Il Casello

Una volta c’era il bar, poi sono arrivate le “lettere al direttore” sui principali quotidiani, le radio libere, le osterie televisive, sempre seguendo il passo dei mezzi di comunicazione più in voga nel periodo. La circolazione delle idee ha sempre pilotato il modello più recente, che oggi è quello dell’era digitale: il sito, la chat, il blog…
Da qui l’idea di far nascere “Il casello”, dove poter parlare liberamente – tra amici, e con franchezza – di tanti aspetti della vita odierna.
Perché proprio “Il casello”? Perché, da studioso e appassionato di trasporti, ferroviari in particolare, ho sempre visto nel casello il silente guardiano della circolazione, il punto di vista di chi è dentro ma in qualche maniera anche esterno, di chi non si muove ma conosce il mondo, perché è il mondo a passare da lì.
Oggi i caselli sono per lo più abbandonati, la loro funzione negli anni è venuta meno quasi ovunque. Talora sono rimasti in piena forma come abitazioni private, altri invece avvertono inesorabile il trascorrere dei decenni. Ma tutti rimangono lì dov’erano stati pensati: presso un passaggio a livello, storie di genti che si incrociano a velocità diverse; nei pressi della stazioni, dove si arriva, si parte, si saluta, ci si unisce e ci si divide; vicino ai semafori, da dove si può - oppure no – passare oltre; e ancora, dove le linee si trovano e si perdono e il nord incontra il sud.
Qui, in questo punto della nostra ideale rete ferroviaria, c’è un casello. S’incroceranno politica, trasporti, sport, enologia, storia, geografia, economia, gastronomia, letteratura, musica, filosofia, tradizioni, novità, arte e altro ancora. Perché non c’è niente che non possa essere caricato su un treno, che prima o poi passerà davanti al casello.
Sono stati gli amici a convincermi ad inaugurare questo spazio. Nella stazione che si intravede poco oltre il casello, le idee si incontrano, si parlano, si conoscono, e a volte diventano amiche.

I trasporti in Italia

Lo confesso, sono un appassionato di trasporti. Lo sono fin da piccolo, quando i treni e i tram, ma anche autobus e autocarri, avevano un ruolo talmente preminente tra i miei giochi da conservarsi in larga misura intatti fino ad oggi, e troneggiare (i treni) sul plastico ferroviario sul quale armeggio ogni volta che ne ho la possibilità.
E’ mia precisa convinzione che i trasporti, le comunicazioni in generale – con l’ordine pubblico, la sanità e l’istruzione – siano il settore chiave della vita di una comunità. Sono di conseguenza del parere che uno dei principali compiti di un ente territoriale sia quello di occuparsi dei trasporti, perché strumento essenziale del benessere degli appartenenti alla comunità territoriale sottoposta alla sua sovranità.
Tuttavia da noi, a differenza che in altri paesi, la politica dei trasporti non solo è fondamentalmente assente da sempre, ma ha consentito la creazione di una riserva assoluta d’intervento a favore di alcuni determinati mezzi di trasporto a scapito di altri.
Uno dei principali fattori di funzionamento delle comunicazioni all’interno di un territorio è che la specializzazione dei traffici sia ben delimitata, e che ciascuno modo si presenti forte sul suo terreno. In Italia non è così: si fa quasi tutto su gomma, anche quando sarebbe antieconomico (ad esempio perché si fa pressione – indebita – in modo che non lo risulti), dannoso dal punto di vista ambientale, assurdo nella sua logica.
Poiché ho sempre avuto l’impressione che nel settore finisca in ogni caso per vincere la cattiva politica su quella buona, credo che possa essere opportuno ricordare nelle prossime settimane qualche interessante episodio, giusto per rendersi conto di come stiano esattamente le cose.

La mia terra

La mia terra è la Liguria, tutta la Liguria, e la mia città è Genova. Sento forte ogni senso di appartenenza, e così è - a maggior ragione - per i luoghi dove sono nato e vissuto, i luoghi che più amo.
Proprio per questo mi sembra necessario dare a queste terre lo spazio che meritano, segnalando le cose belle e quelle che mi piacerebbe veder migliorare, perchè chi vuole realmente cambiare le cose non può limitarsi al mugugno.
Evidenzieremo le nostre eccellenze e proveremo a gettare un seme per cambiare quello che non va. Saranno messaggi trasversali perchè il buon governo - e noi siamo faziosi, sia ben chiaro - non ha colore, così come quello cattivo.

Eventi e manifestazioni

Segnaliamo eventi e manifestazioni (di ogni genere) che possano essere di comune interesse.

Suoni e colori

Uno spazio per trattare di argomenti musicali (gusti, tendenze, novità, miti del passato, eccetera).
Si parlerà anche di musica alternativa, la galassia delle produzioni di aree culturali e politiche non conformate ai diversi “pensieri unici” che hanno guidato i gusti nei vari decenni.

Sport, che passione!

Commentiamo qua insieme le vicende sportive più importanti, dal campionato di calcio agli eventi principali degli sport, in forza del fatto che (per mia grande fortuna!) lo sport è anche parte integrante della mia attività professionale.

Cristiano, Cattolico, Romano.

Cristiano, cattolico, romano. E’ così che mi sento, e dato che la ritengo la più grande delle fortune che possano capitare, lo voglio dire apertamente.
Poiché, nonostante ci sia chi – basta girare per qualche blog – dice esattamente il contrario, non si sa bene in base a quali argomenti, oggi la Chiesa cattolica, ed in generale il Cristianesimo, la Cristianità, la cultura religiosa occidentale, sono sottoposti ad un assedio e ad un tiro al bersaglio da parte del laicismo assolutamente senza precedenti nella storia, credo sia mio precipuo dovere sguainare la spada e difendere il mio Credo.
In questo spazio tratteremo essenzialmente di argomenti relativi alla sfera spirituale, ma con cognizione di causa. Per confutare certe assurdità che oggi sembrano andare per la maggiore, alimentate da un’incultura laicista pregna di pregiudizi anticristiani che ben poco hanno di veritiero, ma soprattutto per raccontare esperienze positive, delle quali senza il Cristianesimo non ci sarebbe traccia. E stiamo parlando, per quanto riguarda ad esempio il volontariato ed il servizio verso minori e disagiati, di circa il 100% di quanto consuntivabile.

Parliamo di politica

In punta di piedi, senza clamori né proclami, è mia intenzione parlare di politica. Di quella buona, di quella concreta, che pensi ai problemi ed alle eventuali soluzioni. Mi piacerebbe che questo spazio diventasse una palestra di confronto tra opinioni ed idee operative, al di là della diversità delle posizioni.
Tengo a dire che da queste parti ci si schiera, eccome. Non aspettiamoci neutralità nei toni, nelle idee, nella collocazione. Qui si è di centro/destra, senza tentennamenti. Anche, volendo, a prescindere da chi concretamente ed attualmente incarna questa posizione nell’arco politico italiano.
Alcune idee guida non si toccano, a partire dal “Dio – Patria - Famiglia”, che qualcuno ama ridicolizzare ma risponde pienamente ad un sistema valoriale “di destra”, dove le gerarchie e le responsabilità hanno un loro ruolo ben definito.
Avremo occasione di entrare nello specifico su tutti questi punti.

Furbo chi legge

Spazio per i lettori, spazio per chi vuole farsi leggere. Proverò a recensire e suggerire testi che possano interessare, e non importa l’argomento o l’autore. Anzi, meglio se i canali sono i meno attivi. I grandi scrittori (e soprattutto i grandi editori) non hanno bisogno del nostro piccolo, modesto battage.
Chiedo l’aiuto di tutti gli amici: segnalatemi, e scriveremo.

Mangia (e bevi) come parli!

Nel paese che più di ogni altro al mondo può vantare concentrazioni di bellezze di qualsiasi genere (come vengano usate fa parte di un altro capitolo…), gastronomia ed enologia meritano un’attenzione tutta particolare.
Due forme di cultura, di buon vivere, dalle quali non si può assolutamente prescindere se si intende fare un ragionamento completo su tutto l’italico mondo.
Senza troppe pretese, proveremo in queste righe a focalizzare l’attenzione – e ben vengano segnalazioni, di ogni genere – su prodotti, vini, eventi, novità, prelibatezze, che ci sembrerà giusto ed opportuno raccontare agli amici.
Chissà che nel nostro piccolo non si riesca a contribuire all’affermazione del gusto e del piacere del mangiare e bere bene, ma senza che il portafogli ne risenta più di tanto.

Siamo tutti revisionisti

Non sono rare le rubriche che trattano di storia, o di storie, e che recano come titolo o accompagnamento la frase: “Per non dimenticare”.
La mia intenzione è di ribattezzare quest’angolo del blog: “Per ricordare meglio”, oppure “Per studiare da capo”. Sono molti, infatti, gli episodi della storia, soprattutto quella contemporanea (che conosco meglio), che presentano lati oscuri, oppure si prestano o si presterebbero ad una rilettura in tutto o in parte diversa rispetto a quella che si è sempre data.
Certi argomenti restano infatti un tabù assoluto, strumentalizzati per decenni da chi se ne è servito per bieco opportunismo a fini ben diversi rispetto alla ricerca storica. Fatti e storie del Novecento italiano che si svolgono secondo canovacci diversi rispetto a quanto insegnato nelle scuole con atteggiamento più assolutista e veritativo che educativo e didascalico; vicende che conoscono due verità, entrambe degne – se non di essere parificate – come minino di essere ascoltate; questioni ancora irrisolte delle quali appena oggi si accenna sempre meno timidamente, perché disturbavano i manovratori. Insomma, c’è carne al fuoco anche per parlare di passato, senza preconcetti e con quell’atteggiamento di apertura che Renzo De Felice, uno dei nostri punti di riferimento più fulgidi, riteneva componente di base per chi si accosta alla storia senza secondi fini impregnati di presente.
Evviva sì, siamo revisionisti!

Nel silenzio

“Non ne prendono uno!”, viene da commentare spesso e volentieri quando – in presenza di delitti eclatanti o episodi inquietanti di vario genere – ci si interroga sul comportamento delle forze dell’ordine.
In realtà le cose non stanno così, ma è il solito discorso dell’albero che cade, che fa più rumore di una foresta che cresce. Molti colpevoli vengono assicurati alla giustizia, e le nuove tecnologie aiutano spesso a ricostruire vicende (e a dare volti a colpevoli) vecchie di decenni.
Tuttavia, una certa percentuale di questi eventi sfugge alla pur lodevole opera di magistrati, carabinieri e polizia. E nell’immaginario popolare restano spesso più impressi dei tanti casi che conoscono una soluzione. Come, del resto, è giusto che sia: in tanto o in poco che la questione possa appassionarci, succede che ci si trovi ad interrogarsi su chi possa aver commesso quel delitto così efferato, o sulla fine che ha fatto quella ragazza di cui non si sa niente ormai da cinque anni.
Qui, senza alcuna pretesa né di indagine, né di completezza, vogliamo provare a ricostruire sinteticamente alcuni dei misteri più noti accaduti negli ultimi decenni. Perchè non dimenticare è doveroso anche per chi di questi episodi è stato vittima. E, magari, da qualcuno potrebbe forse arrivare l’idea che nessuno aveva mai prima preso in considerazione, quella che cambia lo scenario, quella che aiuta chi è in difficoltà.

Ho incontrato un fuoriclasse

Mi hanno sempre colpito le figure dei fuoriclasse. Personaggi epici, che rendono popolare la disciplina che li vede protagonisti, in un’eterogenesi dei fini che li trasporta nel mito.
Ce ne sono in ogni campo: a tutti viene in mente anzitutto lo sport, il terreno elettivo del fuoriclasse moderno, ma io penso anche alla musica, alla letteratura, al giornalismo, all’ars retorica, e a tanti altri settori da coprire in pratica lo scibile umano.
Il campione ha un grande talento. Il fuoriclasse al talento unisce il genio. Non tutto quello che fa può piacere a tutti, indistintamente. Anzi, spesso il fuoriclasse ha tanti nemici quanti ammiratori. Ma è un fuoriclasse, quello che fa è oggettivamente un capolavoro. E’ come un tramonto: può non piacere, ma… si possono fare obiezioni ad un tramonto?
Le nostre generazioni, complici le tecnologie del tempo reale, possono vantarsi di aver conosciuto molti di questi fuoriclasse. Anzi, a volte è proprio il sistema di comunicazione che ci porta in casa le imprese di questo e di quello, rendendoli popolari. Di loro, ma anche di quelle figure eccezionali che emergono da passati più o meno lontani, racconterò di quando in quando. Ci sarà spazio anche per fuoriclasse sconosciuti ai più, eroi di tutti i giorni, dei quali noi soli conserviamo memoria ma che grande segno lasciano nella vita di chi li incontra.
Fatemi conoscere le vostre opinioni, e segnalatemi i vostri fuoriclasse.