31 GENNAIO: BUON COMPLEANNO, GSS!

Esattamente ventuno anni fa, il 31 gennaio 1988, nasceva a Genova un qualcosa – che io stesso non saprei esattamente definire: gruppo, comunità, tradizione, attività, e chissà cos’altro – destinato a coinvolgere le vite di alcuni personaggi davvero molto particolari, nonché di molte migliaia di altre persone, più o meno inconsapevoli testimoni e, sia detto con bonomia, vittime di questo sodalizio.
L’idea era nata, quasi per caso, due settimane prima. Tre ragazzi genovesi, dopo una domenica poco felice per molteplici motivi, decisero di proseguire il fine settimana ancora per un po’, nel dopocena. Nonostante il maltempo, l’effetto fu positivo. Perché non trasformare in una piacevole consuetudine questa contrapposizione tra la serata “d’ordinanza” del sabato – fidanzate, compagnie, regole, diritti – e la libera uscita domenicale?
Così, con uno dei ragazzi a far da trait d’union tra due – chiamiamole così – sezioni assolutamente eterodosse e mai in contatto in precedenza, ecco aggregarsi altri due personaggi, in quella domenica fredda ma stavolta serena.
Era il tempo della prima chiusura di Via San Vincenzo al traffico automobilistico: non risultò difficile manipolare i segnali stradali (ancora provvisori) in modo tale da costringere gli ignari e radi automobilisti ad un percorso circolare tra via Galata, via San Vincenzo, Via e Piazza Colombo, ancora via Galata, eccetera.
L’esito fu da subito inimmaginabile: risate da lacrime agli occhi, allegria, amicizia, e l’onda già massiccia che nacque quella sera gonfiò fino a proporzioni gigantesche. Da quella proto “serata scazzo”, come venne definita fin dalle origini, sorsero innumerevoli iniziative di ogni genere, destinate a lasciare un segno profondo nei loro autori (il cui numero si allargò ancora nel periodo successivo), ed in tutti coloro che ebbero la buona o cattiva sorte di ammirarne o di subirne le irriverenti gesta.
Ma di questo ci sarà sicuramente modo di trattare ampiamente in altre circostanze.

SUPPORTIAMO L'ITALIANO!

Sono stato ad una riunione, la settimana scorsa. Una riunione importante, per il settore del quale mi occupo: organizzata dai vertici aziendali, ha visto per buona parte della mattinata protagonisti due giovani specialisti di estrazione finanziaria. Una delizia per le orecchie.
Scopro così, un po’ disorientato, che improvvisamente quello che molti chiedono da tempo è già realtà. I centesimi non esistono più. Ma non nel senso desiderato dai finlandesi, ad esempio, che vorrebbero l’uscita di scena delle monetine più piccole. In questo caso, parliamo della sostituzione del centesimo con il “basis-point”, ossia il “punto base”.
Si tratta, ovviamente, di un’americanata. Ma che probabilmente fa sentire gonfi e soddisfatti gli asini che ne usano e abusano. Anche matematicamente, è un’idiozia. Sotto il numero intero ci sono i decimi, i centesimi, i millesimi. Però parlare di “besispoints” fa figo. Fa “odiens”. Fa schifo.
Ma non è tutto: uno dei giovanotti ha contrapposto due metodi di calcolo definendone uno “blended” (e va beh, “Misto” evidentemente è troppo proletario), e l’altro “senior”. Senior, latino, comparativo di “senex”, cioè vecchio. Peccato, però, che lo pronunciasse “sinior”. Dimostrando così di non conoscere né il latino, colpa – dal mio punto di vista – esiziale, né l’italiano. E forse neppure l’inglese.
Divertente poi il passaggio nel quale il relatore ha più o meno espresso questo concetto: “Si tratta dell’accuratezza, quella che in gergo viene definita come Accurancy”. Caspita! E allora, in gergo chiamiamola “Accuratezza”! Perché il termine tecnico alloglotto (quasi sempre inglese) può avere senso per evitare lunghe perifrasi, ma è da idioti se è la semplice traduzione del termine italiano, tra l’altro spesso identico.
Finale scoppiettante e creativo, con neologismi a volontà: dalla “percentualità” (che vorrebbe essere la frequenza percentuale di un certo evento), all’immancabile e diffusissimo “supportare”, verbo che in italiano – come è noto, e se non lo fosse è l'occasione buona per impararlo – non esiste. Esiste il sostantivo “supporto”, ma non il corrispondente verbo, che è una becera traduzione dell’anglo “to support”. Che vuol dire “sostenere”. La buonanima di Cesare Marchi, il Maestro senza l’influsso del quale questa rubrica non sarebbe la stessa, raccontava un episodio gustoso, che la dice lunga sugli effetti involontariamente comici della contaminazione linguistica: quando il ministro degli esteri Gaetano Martino (padre dell’economista ed esponente di spicco del PDL Antonio) si recò in visita negli Stati Uniti, il giornale in lingua italiana edito a New York titolò a nove colonne pressappoco così: “Arriva il Ministro Martino: Supportiamolo!”.

IL MARE IN FONDO ALLA STRADA

In un romanzo autobiografico l'adolescenza di un gruppo di ragazzi nella Livorno di fine millennio


Ancora un libro da segnalare. Questa volta si tratta di un romanzo autobiografico, e ce lo presenta Daniele, un amico che davanti al Casello transita fin dagli inizi. Aria fresca, quindi, nelle stanze della letteratura nostrana: è un piacere dare a quest'iniziativa lo spazio che merita.


Dopo il successo del libro d’esordio, Marco Bernini torna con “Il mare in fondo alla strada”, racconto autobiografico in cui l’autore livornese narra gli anni dell’adolescenza, con i primi tormentati amori a far capolino nelle scorribande con gli amici di sempre, ovvero gli esileranti Marco, Tony, Maso e Bitta, già strepitosi protagonisti de “I racconti della balaustra”.
Ruolo di primaria importanza nel racconto labronico, una “lei” misteriosa ed ammaliatrice, capace di scombussolare a più riprese gli equilibri del giovane Marco, seducendolo e abbandonandolo a più riprese anche in situazioni completamente inattese.
Nel mezzo la prima vera storia d’amore del protagonista, con la dolce Anna conquistata con una dichiarazione canora e grazie a cui l’autore si sente finalmente felice e realizzato. Ma la favola dura poco, Marco ben presto si rende conto che le rinunce alle partite a calcetto nei pittoreschi gabbioni livornesi e alle uscite con gli amici sono un prezzo troppo alto da pagare e trova il coraggio di lasciare la prima fidanzatina.
L’autore esce però rafforzato e maggiormente conscio delle proprie possibilità da questa prima liason e riesce a trarre vantaggio dall’esperienza consolidata sia nelle gite con i boy scout che nelle vacanze all’Isola d’Elba, dove per raggiungere le coetanee in un locale sulla spiaggia, Marco è costretto a percorrere un vero e proprio tracciato di guerra per sfuggire ai buttafuori del locale stesso.
Ed è proprio qui che ricompare a sorpresa la Lei misteriosa capace di illudere ancora una volta Marco e di piantarlo in asso di fronte ad un ragazzetto con l’auto sportiva rovinandogli al contempo il terreno di conquista con le coetanee conosciute durante la vacanza.
Esilarante al ritorno dalle vacanze estive la scena della rissa gigantesca alla pasticceria Perfetti, scatenata da un battibecco tra il bellimbusto di turno della diabolica Lei ed il mitico Bitta.
Da segnalare inoltre la tentata truffa alla cinque chilometri di nuoto della città labronica, con Tony che percorre 4,5 kilometri in autobus per poi fare il suo ingresso trionfale in mare a 500 metri dall’arrivo e la gita a Bologna con gli amici di sempre, a trovare una fidanzatina conosciuta all’Isola d’Elba.
Proprio quando pare definitivamente uscire di scena infine, L’ennesimo ritorno della Lei misteriosa sembra invece quello giusto, con i due protagonisti principali che si fidanzano e si innamorano finalmente, a tal punto da far sembrare fantastico il parchetto sottocasa con il ronzio dei motorini in lontananza.
Ma anche questa volta qualcosa si inceppa e Marco trova il coraggio di porre la parola fine alla loro storia infinita.
Il finale è da brividi, con i due che si incontrano ad anni di distanza e con Marco che compie una mossa a sorpresa che lascia di stucco il lettore il quale certamente non può non rimanere impassibile di fronte alle ultime pagine del libro, scritte con il cuore in mano dallo scrittore toscano.
Divertente, coinvolgente ed intrigante, Il mare in fondo alla strada è un racconto veloce piacevole che sa trasmettere emozioni e sa far riflettere e che vuole innescare un confronto tra gli adolescenti degli anni 80 e quelli di oggi, troppo spesso schiavi dell’Ipod e della psp.
Il tutto con in sottofondo la splendida colonna sonora consigliata dal Bernini, ad accompagnare passo per passo il buon Marco nel cammino della sua adolescenza.

IN UN LIBRO LA DESTRA ITALIANA DEL DOPOGUERRA ATTRAVERSO LE SUE RIVISTE

Mario Bozzi Sentieri, scrittore e saggista ben noto a molti frequentatori del "Casello", può essere a buon diritto considerato uno dei pensatori più acuti e profetici di quel laboratorio a cielo aperto che è l'attuale Destra italiana.
La sua penna, abbinata ad un grande rigore documentale e ad una marcata sensibilità per i temi culturali (e quindi per la costruzione di un'identità "sapienziale" della destra, che si basi su fondamenta solide ed eviti la facile tentazione della demagogia e dello slogan), lo porta ad affrontare temi essenziali per chi voglia costruire qualcosa di innovativo ma che da una parte non rinneghi mai le radici e dall'altra non si faccia tradire dalla smania di inseguire le mode, così presenti anche nel mondo politico.
E' già da qualche mese in libreria il suo ultimo saggio, "Dal Neofascismo alla Nuova Destra" (Edizioni Nuove Idee), che ripercorre sessant'ani di storia politca del nostro Paese visto dalle pagine dei periodici di area.
Un lavoro imponente, e che merita una presentazione all'altezza. Ospitiamo perciò al "Casello" il saggio a commento del libro pubblicato da Luciano Lanna, Direttore del "Secolo d'Italia", sul suo quotidiano.
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Una cosa è certa: anche nell’epoca di internet non è possibile cancellare o rimuovere l’importanza degli archivi cartacei per la memoria delle famiglie politico- culturali. In particolare, il lungo viaggio dal postfascismo alla nuova destra italiana non sarebbe davvero comprensibile senza la possibilità di prendere visione diretta attraverso le riviste dell’area di quanto ricco, complesso e anche contraddittorio sia stato l’universo umano e politico interessato a questo percorso. Un contributo fondamentale in questa direzione ci viene adesso da Mario Bozzi Sentieri con il suo recente Dal neofascismo alla nuova destra. Le riviste 1944-1994 (Nuove Idee editrice, pp. 257, euro 16), un lavoro motivato dall’urgenza «di salvare – come precisa l’autore – non solo una memoria, ma anche di ricucire, con essa, gli intricati percorsi di una presenza politico-culturale a tratti negata,incompresa, spesso misconosciuta». Organizzato cronologicamente e a schede, il libro risponde proprio alla necessità di salvare, con la memoria, i complessi itinerari delle tante e tante testate che hanno costituito il terreno di cultura di un’area politica oggi interessata a una nuova fase di transizione. E da subito la lettura del lavoro di Bozzi Sentieri smonta gli stereotipi e i luoghi comuni che ancora inquinano l’interpretazione del postfascismo e la sua transizione nell’Italia repubblicana. Così, tanto per cominciare, la qualità delle firme che caratterizzarono quelle riviste tra il ’44 e i primi anni Cinquanta. Scrittori, studiosi e letterati di primo piano e da qualche anno riscoperti dalla critica sofisticata come Marco Ramperti, Marcello Gallian, Gioacchino Volpe o Giuseppe Maranini, animarono tra i tanti quella prima stagione di fermento pubblicistico. Basta dare un’occhiata ai collaboratori del settimanale Meridiano d’Italia, fondato nel ’46 da Franco De Agazio e diretto, dopo la sua morte per mano della Volante Rossa, dal nipote Franco Servello: tra questi oltre a Edmondo Cione e Sem Benelli, Filippo Anfuso e Massimo Rocca, Aniceto Del Massa e Roberto Mieville c’erano anche Giorgio Pini, già caporedattore del Popolo d’Italia, e Carlo Silvestri, socialista e antifascista che durante la Rsi fu tra gli animatori de L’Italia del popolo, periodico di collegamento tra le autorità fasciste e i socialisti. Di più: il grande scrittore Ignazio Silone, tra i fondatori del Pci e poi socialista libertario e anticomunista, promosse personalmente – sempre nel ’46 – l’iniziativa di Alberto Giovannini di dar vita alla rivista postfascista Rosso e Nero. Dopo una serie di incontri preparatori, cui era presente anche il giovane giornalista socialista Ugo Zatterin, Giovannini iniziava a pubblicare il periodico sulla base dell’accettazione piena della forma repubblicana e della volontà di partecipare alla ricostruzione del Paese. Anche qui le firme di Marco Ramperti, di Aniceto Del Massa e di tanti altri intellettuali che venivano dal fascismo. «Non potevo – disse Giovannini – non avere una certa fedeltà e riconoscenza verso quel regime attraverso il quale io, che ero nessuno, figlio di povera gente, di operai, cominciando col fare il fattorino, ero arrivato a dirigere un quotidiano. Il fascismo mi aveva dato la possibilità di avanzare socialmente…». Il 2 gennaio 1948, Rosso e Nero pubblica la “Lettera di un condannato a morte” di Pino Romualdi, già vicesegretario del Partito fascista repubblicano e latitante fino all’amnistia Togliatti. È solo un esempio della civiltà del dialogo e della volontà di superamento degli steccati da guerra civile che quella, come altre riviste, esprimeva… In quello stesso fermento uscirono anche il settimanale Rataplan – tra i collaboratori Marcello Gallian, Gianni Granzotto, Roberto Mieville, Nino Tripodi, Renzo Lodoli – e il mensile Pagine libere di Vito Panunzio, che si richiamava esplicitamente alla storica testata del sindacalismo rivoluzionario italiano: vi scrivono Francesco Carnelutti, Nicola Francesco Cimmino,Gioacchino Volpe, Vittorio Zincone, Carlo Curcio, Mario Gradi, Edmondo Cione, GiuseppeMaranini, Costantino Mortati, Giuseppe Bottai… Fondamentale il settimanale La Rivolta Ideale di Giovanni Tonelli che riprendeva il nome dall’opera omonima di Alfredo Oriani, uno degli autori più cari a Mussolini. A quest’ultima testata collaborarono Gioacchino Volpe, Ernesto Massi, Massimo Scaligero, Carlo Silvestri, Carlo Costamagna, Edmondo Cione… Il 26 settembre 1946, per iniziativa di un gruppo di reduci non-cooperatori rientrati dalla prigionia nasce un Fronte dell’italiano di cui la rivista diventa l’organo. E tra settembre e ottobre è proprio nella sede de La Rivolta Ideale, in via Milano 70 a Roma, che si pongono le basi per la riunificazione dei vari spezzoni di un mondo che portano a fine anno alla nascita del Msi. Non a caso, il direttore Tonelli sarà il primo missino eletto conquistando un seggio al Consiglio comunale di Roma nel 1947. In quello stesso anno inizia le pubblicazione anche Il pensiero nazionale, quindicinale diretto da Stanis Ruinas con la collaborazione, tra i tanti, dei soliti Aniceto Del Massa, Marco Ramperti e Marcello Gallian, del futurista Anton Giulio Bragaglia, di Ruggero Ravenna, di Giorgio Pini… Tra le riviste di questa fase, Bozzi Sentieri sottolinea l’importanza dei due soli numeri pubblicati di Europa nazione, diretta nel 1951 da Filippo Anfuso, uomo politico catanese dalla biografia tipicamente novecentesca: giornalista e inviato speciale da giovanissimo, legionario fiumano con D’Annunzio, sottosegretario di Mussolini, ambasciatore a Berlino nella Rsi e, nel dopoguerra, deputato missino. Il nome di quella testata diventò subito uno slogan destinato a una vita lunga nell’immaginario politica della destra italiana postbellica. La rivista ospitò interventi di intellettuali come Gioacchino Volpe, Concetto Pettinato, Julius Evola e Anton Zischka. Si apriva – era un fatto nuovo – a collaboratori non solo italiani ma europei e i sommari erano pubblicati anche in francese, tedesco e inglese. L’impegno era quello di guardare all’unità continentale al di là degli schemi convenzionali e del revanscismo di chi aveva perduto la guerra: «Europa nazione – scriveva Anfuso – vuol dire Europa libera e unita». Ed emergeva, altra novità, l’idea di una neutralità armata delle nazioni del Vecchio Continente. In questa stessa fase si distingueva anche il quindicinale Abc, diretto da un nome storico come Giuseppe Bottai e pubblicato tra il 1953 e il 1959. L’ex ministro delle Corporazioni riuscì a far collaborare al periodico studiosi del calibro di Luigi Volpicelli, Enrico Fulchignoni, Lorenzo Giusso, Marino Gentile, Carlo Curcio e Massimo Rocca, «Stretto tra il Msi, che lo accusa di essere un supertraditore, e la necessità di lavorare per una destra aperta – precisa Bozzi Sentieri – Bottai dà largo spazio al dibattito sulle destre, sulle loro inadeguatezza operative, programmatiche, culturali…». Con Asso di bastoni, “settimanale satirico anticanagliesco” diretto da Pietro Caporilli e in edicola con tirature impressionanti tra il 1948 e il 1957, si apre la stagione delle nuove firme. Con Enrico De Boccard, Luciano Lucci Chiarissi, Pino Rauti, Renzo Lodoli, Fausto Gianfranceschi, Egidio Sterpa, Enzo Erra, Franco Petronio e tanti altri si fanno avanti i giovanissimi, quelli che avevano appena fatto in tempo ad arruolarsi a Salò poco più che ragazzini o quelli che “non avevano accettato la sconfitta”. Sono gli stessi che animeranno La Sfida e Imperium, entrambi dirette da Erra, e Cantiere, diretta da Primo Siena insieme a Giano Accame, Carlo Casalena, Romano Ricciotti, Pino Rauti e Franco Petronio. A questo punto, Bozzi Sentieri avvia il secondo capitolo dedicato alla diaspora tra il 1956 e il ’67. È il periodo in cui si verificano tre fenomeni incrociati: il partito nelle mani di Michelini, l’allontanamento dell’ala giovanile movimentista e la nascita di organizzazioni di destra radicale (Ordine Nuovo e Giovane Europa). In questo contesto si segnala nel 1959 la nascita di una rivista che proseguirà le sue pubblicazioni fino al 1984: l’Italiano diretto da Pino Romualdi. Attento al dibattito sul ruolo e le alleanze in grado di dare al Msi una funzione ben più ampia della semplice autoconservazione nostalgica, e consapevole della necessità di collegare radicamento culturale e azione politica, Romualdi fece de l’Italiano uno strumento di analisi e aprendo le sue colonne a interventi spesso non-conformisti. «Significativo – annota Bozzi Sentieri – l’intervento di Evola, pubblicato sul secondo numero della rivista, marzo 1959, in tema di apertura al divorzio e l’attenzione del filosofo verso i moderni fenomeni di costume». Un decennio importante del dopoguerra viene invece accompagnato e interpretato da L’Orologio di Luciano Lucci Chiarissi, pubblicato ininterrottamente dal 1963 al 1973. Tra le sue firme, elencate come per tutte le altre riviste da Bozzi Sentieri, quelle di Gabriele Moricca e Giuseppe Ciammaruconi, di Cesare Mazza e Mario Castellacci, di Maurizio Giraldi e Jean Thiriart, di Luigi Tallarico e Barna Occhini, di Giorgio Del Vecchio e Mario Bernardi Guardi, di Pacifico D’Eramo e Antonio Lombardo, di Adriano Cerquetti ed Enzo Benedetto, di Maurizio Bergonzini, e Agostino Carrino… La rivista nasceva, spiega Bozzi Sentieri, «intorno alla consapevolezza, ben chiara sia dai primi numeri, che se prima si era convinti che la presenza politica riposassero soprattutto nello stare insieme sulla base di poche formule accettate da tutti, ora sarebbe stata necessaria una fase di approfondimento». L’Orologio tentava infatti di uscire dalla tendenza al minoratismo e al ripiegamento su se stessi che stava caratterizzando l’ambiente in quegli anni. Spiegava Lucci Chiarissi: «Annibale non è alle porte e comunque non lo è a causa del centrosinistra». E L’Orologio, che aveva lanciato il tema della riappropriazione delle “chiavi di casa”, si schierò con il gollismo recuperandone diversi temi. La rivista, inoltre, approfondisce in presa diretta i tratti fondanti della contestazione studentesca del ’68 con una serie di inchieste da Parigi firmate dal futuro politologo Antonio Lombardo e alcuni interventi a favore degli studenti a Valle Giulia. Vengono pubblicati numerosi documenti sulle facoltà occupate in tutta Europa e attorno a queste tesi vengono costituiti in vari atenei italiani i Gruppi dell’Orologio che partecipano attivamente alle battaglie sessantottine e alle occupazioni di alcune facoltà. Tra l’altro, in una di queste, il 13 dicembre ’68, Lucci Chiarissi insieme a Pacifico D’Eramo terranno un dibattito rilanciando la necessità di rilanciare tesi europeistiche e di rinnovamento sociale. Sulla stessa lunghezza d’onda, anche il quindicinale Corrispondenza repubblicana, diretto da Romolo Giuliana, esprimeva da destra posizioni analoghe. Tanto che nell’aprile del ’68, in un “avviso ai lettori” la rivista giustifica il ritardo nell’uscita con l’impegno diretto dei redattori nelle manifestazioni studentesche. Interessanti e anticipatori anche gli attacchi, «in linea di principio e in linea di fatto» ai regimi franchista e salazarista e alla dittatura militare in Grecia. «Il ritardo culturale e politico, accumulato dal Msi durante gli anni Sessanta – spiega Bozzi Sentieri – trova infatti nel 1968 la sua espressione più acuta. Di fronte alla rivolta studentesca il Msi appare impreparato a interpretare e affrontare il fenomeno». Ma questa stessa fase arriva a coincidere con la fine della segreteria Michelini e l’inizio di quella di Giorgio Almirante. Si impone una nuova gestione a tutto campo caratterizzata non solo dal rilancio dell’attivismo ma anche dal tentativo di superamento della diaspora politica e culturale. E i primi anni Settanta registrano un forte rilancio della pubblicistica di destra. Davvero tante le riviste: Candido rilanciato e diretto da Giorgio Pisanò, La Torre di Giovanni Volpe, Il Conciliatore diretto da Piero Capello, Presenza di Pino Rauti, Intervento diretto da Fausto Gianfranceschi, la Rivista di Studi corporativi di Diano Brocchi e Gaetano Rasi e numerose altre iniziative che affiancate al successo di vendita dei settimanali il Borghese e Lo Specchio e all’avvio della casa editrice Rusconi diretta da Alfredo Cattabiani diedero il senso di una nuova egemonia culturale di destra e fecero scriverne, allarmati, intellettuali come Pier Paolo Pasolini e Umberto Eco. In questo quadr collaborazioni di primo piano la rivista La Destra diretta da Claudio Quarantotto: vantava un comitato internazionale composto da Michel de Saint Pierre, Mircea Eliade, Vintila Horia, Thomas Molnar, Ernst Jünger, Giuseppe Prezzolini e Caspar Schrenk-Notzing. Dal 1974 in poi prende invece corpo una produzione giovanile che fa emergere, come scrive Bozzi Sentieri, «l’esigenza di un adeguamento tematico, operativo, dello stesso linguaggio». È la grande stagione delle riviste giovanili e rivolte al mondo giovanile: La Voce della Fogna, Eowyn, Donne in lotta, Diorama letterario, Dissenso, Elementi, Dimensione ambiente, Linea, La Mosca bianca, L’Altro Regno… «Da questo tipo di fermenti insieme politici e culturali – aggiunge Bozzi Sentieri – si sviluppano iniziative parallele, con sigle nuove, affiancate da una ricca pubblicistica specializzata, che evidenzia, in modo sempre più marcato, la necessità di un’azione metapolitica, in grado di condizionare le idee contemporanee, di incidere sul costume e nel moderno movimento delle idee». Il politologo Marco Revelli scriverà che con queste nuove pubblicazioni si inaugurava «un modo nuovo di stare a destra». Ha scritto anche Marco Tarchi, ricordando l’esperienza della sua Voce della Fogna: «Verso la metà degli anni Settanta capimmo che non era più tempo di sostenere la vecchia destra, che era tempo di uscire dal ghetto…». Sull’onda di questi fermenti si arriva all’ultima fase raccontata da Bozzi Sentieri quella che va dal 1981 al ’94. Una fase in cui i giovani di destra hanno acquisito le regole del movimentismo, dell’egemonia culturale e soprattutto dell’attenzione privilegiata che la politica deve avere per le tendenze giovanili e i fenomeni dell’immaginario. Dalle riviste della seconda metà degli anni Settanta hanno poi mutuato l’esigenza di rompere gli steccati, di uscire dalla logica della contrapposizione forzata e di costruire nuove sintesi. Una stagione che può essere rappresentata da tre pubblicazioni: La Contea, espressione della parte movimentista e innovativa del mondo giovanile romano, Proposta di Domenico Mennitti, e Pagine libere di Marcello Veneziani. Rilevante per tutte e tre il ruolo svolto dall’elaborazione della cosiddetta “nuova destra”. «Senza l’esperienza di essa - ha annotato lo storico Giovanni Tassani – difficilmente il Fronte della Gioventù avrebbe potuto modernizzarsi e ricominciare a interloquirecon giovani di esperienza diversa né avrebbe potuto reggere l’esperienza di una rivista decorosa e leggibile come Proposta tra il 1986 e il 1989…». Insomma, all’alba degli anni Novanta il cerchio si chiude. Caduto il Muro di Berlino, fuoriusciti dal clima delle contrapposizioni forti degli anni di piombo, lasocietà civile tornava a essere campo aperto per la destra. Non a caso si chiude proprio aquesto punto la ricostruzione di Bozzi Sentieri. Come a dimostrare che una destra a vocazionemaggioritaria – e in perenne dialogo e sintesi con le altre culture politiche del Novecento– non è nata improvvisamente e senza storia negli anni Novanta. A differenza di quanto qualcuno oggi vorrebbe far credere.

INVENTARSI UN NEMICO Presepi, Moschee e un cattivo che non c'è.

Non è mia intenzione entrare nel merito della polemica sull’inserimento, da parte di un sacerdote genovese da sempre incline alle prese di posizione forti, spesso al limite della provocazione, di una moschea nel presepio della propria parrocchia.
Mi limito a dire che personalmente l’ho trovata un’iniziativa poco comprensibile, fuori posto, tutt’altro che provocatoria – e perciò fuori dal consueto stile originale proprio dell’artefice - ma, anzi, sulla china di quel “pensiero omologato” e politicamente corretto oggi tanto à la page.
Mi interessa qui invece commentare i commenti. Quelli, livorosi, acidi, vuoti di contenuto e privi di una qualsivoglia conoscenza della questione, che hanno parlato di minacce, intimidazioni, raid, spedizioni, squadrismo, a proposito delle prese di posizione di Forza Nuova e Lega Nord sulla presenza di una moschea nel presepio.
A rendersi protagonisti di questa ondata di controinformazione, di autentica “disinformacija”, i soliti noti: la stampa quotidiana, uomini politici, benpensanti e superficialoni di tendenza catto/islamo/radical chic.
Parlo di queste cose con assoluta cognizione di causa, per due buoni motivi: il primo è che conosco bene coloro che hanno inviato la lettera al parroco; il secondo è che io, quella lettera, l’ho letta. E non v’è traccia di violenza, minacce, squadrismo…Le espressioni più aggressive, le affermazioni più minacciose sono, proprio nel finale, "ci dissociamo..." e addirittura "La invitiamo...". Nientemeno!
Però qualcuno di queste cose continua a parlare. Però qualcuno invita il parroco a fare spallucce davanti alle provocazioni. Però qualcuno lo intervista e gli chiede cosa ne pensa delle minacce, della spedizione annunciata da Forza Nuova, del pesante clima di intimidazione, eccetera eccetera.
Ci sono due spiegazioni, che s’intrecciano tra loro, per motivare questa bugiarda insistenza su argomenti falsi.
La prima: c’è, soprattutto nel mondo dei media, una profonda e presuntuosa ignoranza, una pretestuosa superficialità, nessuna voglia di mettersi in discussione, di cercare il confronto con tutte le posizioni, al di là di ogni proclamato sentimento democratico.
La seconda: per qualcuno, orfano di eroi ed in grave difficoltà di idee e di peso sociale (come dimostrano da tempo gli elettori), è troppo importante avere un nemico. Un nemico malvagio, oscuro, reazionario, misterioso, violento. Fascista.
Una sinistra che vive da oltre sessant’anni in un interminabile venticinque aprile, che senza contrapporsi ad un cattivo che riassuma su di sé tutto quanto è il suo contrario – vero o anche solo sognato – non riesce ad andare avanti e ad avere argomenti, avverte una necessità quasi fisica di poter identificare con un nome ed un cognome questo “altro”. Non sembra vero, a questi signori ed alla loro cassa di risonanza mediatica, di poter chiamare il nemico – ad esempio – Forza Nuova, così come negli anni settanta era il MSI (“Uccidere un fascista non è un reato”), poi per qualcuno è stata la Lega, e domani, chi lo sa?
Di chiedere a gran voce, anche per le strade e le piazze, che venga sciolto, annientato, chiuso. Che ne venga impedita qualsiasi manifestazione, mostra, marcia, Che non esista più.
Che poi questi dicano e facciano o meno le cose che vengono loro attribuite, è un dato nemmeno secondario. Non c’entra cosa fanno, c’entra che esistono.
L’importante è avere un nemico da odiare. Se poi – diceva un celebre filosofo della sinistra – i fatti contraddicono le idee, tanto peggio per i fatti.
Oggi, però, la gente non la beve più. Ma fallo capire al trinariciuto…

MOSTRA DEI PRESEPI: LA PREMIAZIONE.

Nell’accogliente ed elegante Salone Convegni della Società Iride in Via Serra si è svolta, di fronte ad un folto uditorio composto dai 160 alunni, dai loro genitori e da molti invitati, la festosa cerimonia della premiazione di un originale Concorso tra le diverse classi delle Scuole, giunto quest’anno alla seconda edizione. Per lunghe settimane i piccoli alunni, sotto la guida dei loro insegnanti e con la premurosa assistenza di alcuni genitori hanno costruito, con materiali “poveri” ma con grande fantasia, presepi molto diversi tra loro tutti ispirati alla magica atmosfera dell’evento straordinario segnato la nascita del Redentore.
I lavori sono stati sottoposti all’attenta valutazione di una qualificata Giuria presieduta da don Gian Luigi Ganabano, Prevosto della Parocchia di S.M. Immacolata. Ai numerosissimi adulti visitatori della Mostra, aperta al pubblico dal 10 dicembre al 9 gennaio, è stata offerta la possibilità di votare l’opera ritenuta migliore. La premiazione si è svolta alla presenza del Vescovo Ausiliare Mons. Luigi Palletti - che ha rivolto ai giovani protagonisti dell’iniziativa ed agli organizzatori un vivissimo plauso - di numerose Autorità religiose e civili, di rappresentanti dei molti enti pubblici e privati e primarie aziende che hanno offerto apprezzati premi. Oltre alle coppe ed alle targhe, sono stati distribuiti a tutti i ragazzi volumi, materiale didattico e sportivo, zainetti, portadocumenti, cappellini, varia oggettistica e un molto gradito attestato di partecipazione.
Il primo premio, consistente in un pianoforte digitale, sarà utilizzato dalle Scuole per i corsi di musica in cui da tempo si stanno cimentando i giovani alunni. Per la cronaca la Giuria ha decretato vincitrici a pari merito le Classi 1° e 5° B – I visitatori, a loro volta, hanno scelto il presepe realizzato dalla Classe 5° B.
Un gradevole rinfresco ha concluso tra gli applausi una mattinata molto piacevole.