Con la scomparsa di Giampaolo Pansa esce
di scena uno dei principali protagonisti della letteratura italiana del
periodo a cavallo dei due millenni.
Il suo primo,
indiscutibile merito è stato quello di aprire una finestra laica, non
di parte, sulla storia dell'immediato dopoguerra vissuta dal lato degli
sconfitti. La serie di saggi, inaugurata con "Il sangue dei vinti", ha
effettivamente aperto una nuova stagione di riflessione storica, e
quello che al Casellante è parso particolarmente significativo è stato
vedere le reazioni scomposte, a volte isteriche (ma sul serio, proprio
da "persone disturbate"), di quelli che Pansa ha definito i "gendarmi
della memoria", figure meschine la cui unica preoccupazione è che
nessuno discuta i dogmi che permettono ad una delle fazioni coinvolte di
ricoprire anche il ruolo di arbitro.
Per certi
versi sembra di essere tornati ai tempi delle Brigate Rosse: non
potevano essere di sinistra, per cui la regia era da cercare in altri
ambienti (le "sedicenti", berciava la vulgata ufficiale). Oggi, essendo
impossibile che un uomo di sinistra, e per giunta non certo imbecille,
possa anche solo criticare l'antifascismo - in Italia, chissà perché, è
più grave che pisciare nell'acquasantiera -, chi lo fa o non è più di
sinistra, perché comprato dal nemico (c'è da immaginare che Berlusconi
vada bene in qualunque occasione, è come un vestito blu) o anche
semplicemente rincoglionito, oppure non lo è mai stato.
Ma
Giampaolo Pansa era anzitutto e soprattutto un uomo libero, di pensieri
e di parole, e come non ha mai lesinato il suo favore per la sinistra
politica italiana, così ha avuto il coraggio di dire, con i suoi
scritti, che condannare il fascismo non significa automaticamente
condannare le persone, e credere nella democrazia e nella costituzione
non implica l'accettazione acritica di qualsiasi comportamento
dell'antifascismo, specie quello arrivato fuori tempo massimo.
Credo
non possa essere messo in discussione che Giampaolo Pansa fosse un uomo
concretamente di sinistra. Quindi, rispetto al Casellante, un
avversario. Ad averne, però, di avversari così: talmente acuti da saper
leggere anche le ragioni di chi, al suo occhio, aveva torto.
Onore a lui. Da lassù, scrollerà spalle sentendo starnazzare le oche dell'odio fine a se stesso.
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