Iniziamo, amici del Casello, la rassegna dedicata ai protagonisti dei 150 anni dell’unità d’Italia. Un’unità politica che ha sancito un’unità nazionale esistente già da 2.500 anni, perché – come ho sentito giustamente dire da Edgardo Sogno, un grande, grandissimo italiano, e come tale coperto (iniquamente) di fango dai c.d. “progressisti” dell’epoca, i peggiori anti italiani di sempre, per un presunto, molto presunto complotto golpista – lo stato italiano esiste dal 1861, ma la Nazione italiana (o italica) è una Nazione antichissima, risalente ai tempi dei Romani. E qui giova sottolineare – spero non sfugga a nessuno – la differenza tra “stato” (entità amministrativa) e “Nazione” (insieme di caratteristiche che uniscono una comunità radicata su un certo territorio).
Ed è proprio questo il primo fuoriclasse di questo nostro “Bignami” dell’Italia unita: la nostra gente, il nostro territorio, la nostra cultura, la nostra civiltà. Che ha 2.500 anni di storia, ed è una delle più antiche fra quelle arrivate – bene o male, a volte molto più male che bene – fino ai giorni nostri. Una civiltà che mangiava con le posate quando certi “professori” dell’economia mondiale o certi censori dei nostri comportamenti si grattavano la testa con la forchetta o sbranavano la carne cruda.
Oggi di quest’appartenenza alla casa comune italiana si sta perdendo il significato, e si preferisce guardare (o guardonare) nella casa sì, ma quella del “Grande Fratello”. Tranquilli: non siamo degeneri soltanto noi. Il fatto è che una volta le mode le imponevamo (oggi accade per pochi campi), oggi le subiamo.
Ma un po’ di fronte alta e di sano orgoglio nazionale non guasterebbe. Tra l’altro, noi – a differenza di altri – ne abbiamo motivo.
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