L’offerta
enologica nazionale è talmente ricca e qualitativa da lasciare
sbalordito chi si affacci per la prima volta, e con la dovuta
curiosità, al pianeta del vino italiano. Non c’è oggi regione, ma
direi territorio - giacchè tanti ne possediamo, noi, universo dei
mille campanili – che non sfoggi un campione da tutti riconosciuto
come “quello buono”.
Ricordo, saranno
passati quasi quarant’anni, durante una trasmissione televisiva
(forse un arrivo del Giro d’Italia) un signore vestito di scuro,
con gilet e cappello, passare di bicchiere in bicchiere con una
bottiglia misteriosa e dire ad ognuno: “Malvasia!”, come a
spiegare, a dare senso e significato, a voler intendere: Malvasia,
mica bau bau micio micio.
Oggi lo sfumare
delle distanze rende familiari nomi astrusi solo vent’anni fa:
Aglianico, Taurasi, Primitivo, Negramaro, Cannonau… i nuovi
campioni che portano nuovo lustro ai nobili di sempre: i Piemontesi,
i Toscani, i Triveneti…
Tra questi
ultimi, la strada del nuovo – ma non il nuovo per il nuovo:
semplicemente il nuovo per l’attuale, per l’aggiornato – porta
a rendere più ricca, più compiuta, più autentica, più
tradizionale la fatica quotidiana di dare compiutezza al proprio
prodotto. Ci colpisce, e non è mai stato un caso, quanto fatto a
Lamole e che sempre apprezziamo durante le incursioni a Terroir Vini,
la principale rassegna enologica ligure, che si tiene da anni verso
la metà di giugno.
Lamole di
Lamole, per quanto ci riguarda, rappresenta una felice sintesi tra lo
spirito giovanile, l’afflato imprenditoriale e il rispetto delle
radici. Convinti – qui al “Casello”, un po’ reazionari (e ce
lo diciamo anche da soli) – che niente è più attuale di ciò che
si conosce e nulla è più innovativo di ciò che parte dalla Patria
(che per Luigi Veronelli è “ciò che si conosce e si capisce”),
gustiamo i vini di Lamole di Lamole consapevoli che quanto è
accompagnato dalle parole sagge ed intelligenti di Andrea Daldin, che
incontriamo ormai da diversi anni a Genova, a Terroir Vini - come le
didascalie sotto le illustrazioni – è proprio così, e lo si
legge/ascolta/vede/ percepisce/respira/gusta nel bicchiere.
Non vogliamo qui
parlare di austerità, corpo, stoffa, tannini, acidità, persistenza:
pensiamo il meglio e la sua combinazione con i nostri gusti è un
fidanzamento principesco. Come con l’olio (che – si chiede Andrea
– se fatto bene dovrebbe costare così tanto che quello che si
trova al supermercato come può mai essere anche solo “olio”?),
con il vino di Lamole di Lamole – terra del giaggiolo, e quindi del
fresco e intraprendente fiore chiantigiano – la piacevolezza sta
anzitutto nell’esserci e nel tornare. Nell'accoglienza, nell’amore
per il proprio lavoro pe per la terra. Sono già buoni motivi. Anzi,
i migliori.
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