I giacimenti
enologici italiani – vere miniere d’oro rosso, bianco, rosato –
sono millanta che tutta notte canta, e qui corre l’obbligo di
citare Gigi Veronelli nella forma e nella sostanza, dacchè fu lui il
vero cantore di questa ricchezza tutta nostra e anzi da qui partì
per conquistare – con Indro Montanelli, Gianni Brera, Giovannino
Guareschi più di tutti - le vette della letteratura italiana del
Novecento (leggetelo, anche se non siete appassionati della materia:
ne vale la pena, c’è da imparare e da divertirsi).
Circoscrivendo a
quanto di più vicino e ricco, il Piemonte, una delle scoperte più
interessanti è l’esistenza di piccole varietà di uve e vini che
originano delizie capaci di non farsi stritolare dai giganti
dell’enologia quali le Barbere, i Dolcetti, i Nebbioli.
Limitandoci al
rosso, già qualche tempo fa decantammo le qualità del Ruchè,
antico vitigno delle colline a Nord Est di Asti, salvato
dall’estinzione grazie alla solerte opera del parroco di Castagnole
Monferrato.
Ma non da meno
sono altri vini poco noti e non per questo meno eccezionali, nel
senso più pieno del termine: “eccezione” rispetto alla norma –
norma di straordinaria e favolosa anormalità – rappresentata dai
grandi vitigni di fama planetaria. Parliamo qui infatti del
Pelaverga, sublime rosso che raggiunge il suo splendore nel
territorio di Verduno, nel cuore della Langa, e anche del Ramiè,
eccellenza della montagna pinerolese.
Il primo,
vitigno antico e solitario che esprime un nettare dal sentore
speziato e dal colore carminio melange, che gioca da giovane al pari
di tanti più anziani, e che meriterà per la sua storia e la sua
gloria una pagina intera; il secondo, invece, che parte da uvaggi più
eterogenei e dai nomi evocativi come Avana e Averengo, non senza quel
Neretto (Neiret), che nelle Langhe qualcuno riconduce al Syrah,
spesso presente fin dai tempi di Carlo Cutica nei filari del
Dolcetto.
E tutto questo
per tacere dei tanti uvaggi locali che forniscono nuove dimensioni,
soprattutto territoriali, a vini universalmente noti e localmente
adottati e adattati: Gabiano, Cantavenna, Spanna…
Ci torneremo: i
vini d’Italia – non solo del pur vasto e florido Piemonte –
meritano parole e ancor più… bicchieri.
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