IL TRENO E IL MURO

Che quest'inverno passi alla storia come il più piovoso da molti anni a questa parte non è un mistero per nessuno. Va già bene che nella martoriata terra ligure non abbia portato morte e distruzione lungo i rivi e i fiumi così maltenuti e soprattutto dopo le consuete promesse (da marinaio, siamo a Genova) che a suo tempo sentimmo proferire dai politici nostrani solo in conseguenza di immani tragedie. Il fatto però che non si debba e non si possa parlare di alluvione non significa che non ci siano stati problemi, e anche grossi. Frane, allagamenti, strade inagibili, paesi isolati: da incubo. L'emblema, l'effigie di questa stagione monsonica è però rappresentato dall'Intercity fermato da una frana tra le province di Savona e di Imperia. Per tanti, troppi motivi, che non fanno che confermare come il treno sia – tra tutti i mezzi di trasporto – quello dalle metafore più attinenti e anche il più vulnerabile, costretto dai suoi vincoli ferrati a non poter sterzare nemmeno quando è opportuno o necessario. Anzitutto, la gestione del territorio. E' un po' magniloquente e burocratico come concetto, ma rende perfettamente l'idea sia di cosa abbiano dovuto inventarsi coloro che oltre cento anni fa congiunsero la Riviera con la Costa Azzurra, sia di cosa abbiano concesso i governanti del dopoguerra a chi voleva inventarsi un terrazzo a strapiombo sul mare. E sulla ferrovia. Inoltre, l'incidente è un atto d'accusa verso chi da sessant'anni sta cercando di raddoppiare con lentezza da repubblica centroamericana una linea internazionale, l'unica in tutta Italia ancora con ampi tratti a semplice binario. E' evidente che se si interrompe per qualche settimana la linea – poniamo – Aulla-Lucca, qualche disagio si percepirà, ma ce ne faremo una ragione. Se si rimane senza la linea internazionale che congiunge l'Italia e la Francia (e la Spagna, e il Portogallo), per passeggeri e merci l'unica soluzione è ricorrere alla gomma. Come se non fosse già abbastanza invasiva. Ancora: dove sono quei soloni che, per voler tagliare a tutti i costi, sostengono l'inutilità della Cuneo – Ventimiglia, riaperta con grande dispersione di denaro pubblico poco più di trent'anni fa? L'unico modo per passare oltre l'Intercity sospeso sul mare (un miracolo che non ci siano state vittime. Basta guardare le foto) era proprio transitare dalla Valle del Roja. Insomma, un inno all'inadeguatezza. E tra poco ci si dimenticherà nuovamente di tutto, fino alla prossima tragedia. Tanto l'unica vittima è la povera Tartaruga (il locomotore E 444, per decenni simbolo dell'alta velocità all'italiana), che – giunto comunque alla fine del suo operoso servizio – non scamperà alla fiamma ossidrica.