IL CASELLO NASCOSTO TRA GLI ALBERI

Fresco di stampa, ecco finalmente il romanzo del Casello. Sì, perché è proprio un piccolo edificio ferroviario il protagonista di “Il casello nascosto tra gli alberi”, il romanzo d’esordio di Giuseppe Viscardi, giornalista ed esperto di comunicazione genovese, che sta appassionando lettori e lettrici di tutte le età per l’originalità del soggetto, il suo stile semplice e diretto e i suoi personaggi ricchi di umanità.
E’ davvero particolare la vicenda del ragazzo lombardo che in maniera casuale – in seguito alla valanga che travolge tutte le sue certezze – prova a ricominciare da zero, e lo fa sulle alture della Val Polcevera. Una storia che si legge tutta di un fiato, organizzata in maniera sorprendente dall'autore, senza che nessuno dei rivoli del racconto si perda in una valle e fondo cieco, ma in maniera che tutti confluiscano nel mare. Una bellissima favola su che cosa conta veramente nella vita, sull'amicizia e sull'amore. Un racconto che esalta l'asse portante dell'anima degli uomini (quelli che ne hanno una), a danno di tutti gli orpelli e i fronzoli con cui siamo abituati a ricoprirla. Una fuga da situazioni drammatiche e complicate, che diventa poi una fuga da quel se stesso che in fondo al protagonista non era mai piaciuto.
Un libro che spiega che un’anima determinata a ritrovare sé stessa, ce la può fare, e che per avere fortuna e l'aiuto di Dio bisogna anche meritarseli.
Una lettura appassionata, che alterna momenti minuziosamente descrittivi ad altri più “mossi”, che strappa qualche lacrima e molti sorrisi, e tiene incollati alla storia per tutta la sua durata.
Per gli amici del Casello il libro è acquistabile tramite gli indirizzi di posta elettronica presenti sul blog, oppure è disponibile alla Fiera del Libro di Galleria Mazzini, presso lo stand della casa editrice N.E.G., Nuova Editrice Genovese, e poi ancora nelle migliori librerie.

LA POVERTA' DELLA MUSICA DEGLI ANNI '70

Mi trovo spesso a pensare a quanto i cantautori italiani abbiano inciso sulla nostra formazione musicale. Quando ero ragazzino, diciamo negli anni settanta e fino ai primi anni ottanta, esistevano in pratica tre generi musicali: il grande rock internazionale, la canzone impegnata, la musica popolare, di facile presa. Quest’ultima era come la Democrazia Cristiana: nessuno diceva di sceglierla perché faceva sfigato, ma in realtà poi l’ascoltavano tutti. Le altre due si dividevano il campo dei ganzi, con scarse o nulle contaminazioni.
Da un punto di vista dell’educazione musicale, purtroppo, il ruolo dei cantautori va giudicato come negativo: la povertà dei loro suoni, i lunghissimi e noiosi pistolotti accompagnati da stornellate elementari, hanno inciso negativamente su una generazione che ha in sostanza scelto le parole – oggi, tra l’altro, desuete e spesso contraddette dai fatti – rispetto alla musica.
Niente da dire su certi testi, specie certe poesie d’ambiente (mentre va considerato nefasto, a questo punto, l’apporto all’agone politico propriamente detto), ma a livello musicale… Il fatto è che “La locomotiva” era alla portata di tutti, mentre “Shine on you crazy diamond” era di difficile portabilità, specie allora che le parole su internet non si riuscivano a trovare. Un po’ per motivi pratici, un po’ per non restare esclusi, ecco che si finiva per accettare quella che sembrava l’unica soluzione. Dalla quale, tra l’altro, rimanevano esclusi autentici fenomeni (riabilitati dalla storia, a volte – purtroppo – quando era tardi) come Rino Gaetano e gli esordi di Vasco Rossi, Zucchero Fornaciari, Enrico Ruggeri.
Gli anni Ottanta, tra i tanti, enormi meriti, hanno per fortuna spazzato via gli anni settanta anche sul piano della musica. Chi cerca sempre di immobilizzare il mondo ha anche accusato alcuni cantautori che hanno avvertito il cambio di passo (come Edoardo Bennato) di essersi prostituiti alla musica commerciale. Ma solo loro.
E sono in buona compagnia: politica e letteratura, tanto per fare un esempio, hanno conosciuto storie simili, con l’aggravante che certe abitudini sono dure a morire.

UN FEDELE POLIGAMO, IL NUOVO ROMANZO DI ALESSANDRO CONSONNI

Carissimo Casellante, carissimi Viaggiatori, è da un po' di tempo che penso di scrivere sul blog, ma non ho mai avuto argomenti che ritenessi degni dell'interesse di un gruppo eterogeneo di persone, come penso siate Voi. Oggi non posso esimermi dal segnalarVi un libro. E' "Un fedele poligamo", opera prima di un carissimo amico monzese, il Maestro Alessandro Consonni. Chi è costui? e perchè dici "Maestro"? Per chi non fosse un esperto d'arte, rispondo subito: Alessandro Consonni è un pittore Monzese D.O.C., classe 1954. La sua fama ha varcato i confini dell'Europa da tempo ed è molto quotato in America ed in Estremo Oriente. Definirlo pittore è veramente citare soltanto una faccia del poliedrico "personaggio", che ho il piacere di annoverare nel numero dei miei "amici-amici" a Monza, la città che mi ha rapito da Genova 5 anni fa, il giorno in cui "ho piggiou quello Sacramento" (quando mi sono sposata - con un indigeno - n.d.r) . Direi che l'espressione più che più si adatta ad Alessandro Consonni è grande comunicatore. La prima volta che ho il piacere di incontrarlo è durante l'esposizione dei suoi quadri, due anni fa, in occasione della festa del Co-Patrono Monzese, San Gerardo (l'altro è .. San Giovanni Battista, come noi genovesi, che però abbiamo più reliquie degli autoctoni!). Alessandro è una persona molto brillante, simpatica, incontenibile, che comprende empaticamente l’interlocutore, chiunque esso sia; ne sa cogliere il suo punto di vista, senza assumerlo come proprio, restando fedele a se stesso, avendo, come dice Lui medesimo, "ormai allentato i freni inibitori". La sua pittura è come Lui, energica, unica del suo genere. La tecnica “olio”, utilizzata in grandi spessori, con la spatola, dà la suggestione dell'alto e basso rilievo. E' pittura informale, che offre diverse interpretazioni all'occhio più o meno esperto. Mi piace talmente tanto che decido di investire nell'acquisto della tela "Fragranza di brughiera", che fa mostra di se sulla parete della nostra camera da letto, con i suoi papaveri rosso fuoco e le sue nuvole che sembrano cambiare forma. Mi fermo qui. Ammetto di essere una profana e so benissimo che la brutta figura è dietro l'angolo ... Lo scorso settembre Alessandro preannuncia l'uscita del suo primo romanzo. "Però..."- penso - "sono curiosa: chissà come se la caverà con la penna?" Il Sabato 10 Ottobre io e mio marito Andrea andiamo alla Galleria d'arte "Stanza delle forme" a Monza e ascoltiamo, tra una battuta e l'altra, alcuni accenni di Alessandro al contenuto del libro. Si tratta di un romanzo ambientato a Mirandolo, sullo sfondo si staglia il Monte Rosa. E' la storia di George, uno psicologo di madre inglese (da qui il nome anglofono) che capisce, venendo casualmente in soccorso di una donna conosciuta in aereo, il potenziale della missione di aiutare i malcapitati ad affrontare la "volofobia" e ne fa un vero e proprio mestiere. Nell'arco di una vita George, incontra e ama con autentica passione e "fedelmente" due donne. Mi do di nuovo uno stop. E' abbastanza per stuzzicare la Vostra curiosità? Finisco il romanzo in neanche 24 ore, tanto è piacevole e coinvolgente la lettura. Scrivo a mezzanotte di Domenica 11 ottobre la mia recensione ad Alessandro. " Complimenti per le descrizioni, soprattutto dei colori, quasi maniacali. Mi sembrava di vedere un film su di uno schermo ad altissima definizione. La storia di George, mi ha intenerito, appassionato, e fatto sorridere". Volete sapere l'ultima uscita del Maestro? Trovo in libreria, sulla fascetta gialla che gira intorno alla copertina, sul retro, la mia recensione! Pensate: compare ancor prima di quella di Roberto Aldo Mangiaterra (il genovesissimo Mago delle Fiabe). Lui sì che ha pieno titolo per fare queste cose!!! A quanto pare, io me la cavicchio... Buona lettura!

Alessandra Dufour alessandra.dufour@gmail.com

P.S.: la fascetta gialla scomparirà presto dalle librerie, ma, lo so , le magie durano poco: Cenerentola docet!

IL SEMAFORO, SIMBOLO DELLA MOBILITA' GENOVESE

La mobilità genovese degli ultimi decenni, pur spesso stravolta, presenta un filo conduttore che unisce tutte le piccole e grandi rivoluzioni: l’inefficacia.
Tralasciando l’aspetto che pur mi è più caro e noto, il trasporto pubblico, che a reggere l’assessorato fosse il bizzarro Villa o il fumoso Merella, per la città cambiava poco, e comunque in peggio. La casalinga di Voghera non avrebbe procurato certo danni peggiori.
L’emblema di queste controgestioni? Il semaforo. Sì, d’accordo, le strisce gialle; certo, le zone blu; sicuro, anche i sensi unici rivoluzionati a babbo, o il rifacimento delle coperture del Bisagno che “non durerà più di 24 mesi”, per dirla con lo sfortunato precedente inquilino del Matitone; ma tutto ciò è niente rispetto all’epidemia di semafori – talvolta inutili, spesso dannosi – che ha colpito la città, in particolare nel corso della nefasta gestione Merella.
Spero per lui - l’assessore al traffico più inviso di sempre - che ci abbia almeno guadagnato qualcosa; che so, dalla ditta fornitrice. Giusto per dire che in città qualcuno ha tratto beneficio dall’assurda politica del “più infastidisco l’utente della strada, più faccio l’interesse della viabilità”.
Così, mentre tutto il mondo elimina i semafori, a Genova li decuplichiamo. Dove non ci sono mai stati (Piazza Portello); dove c’è un attraversamento pedonale a richiesta che rompe le scatole, specie nelle ore di punta (qua e là in Corso Europa), dove c’è un incrocio con una via sempre deserta, dove c’è l’uscita dei mezzi di una qualsiasi entità comunale, provinciale, regionale o statale…
Ovunque, tranne – sembra una banalità - dove servono: ad esempio alla confluenza di via Capolungo con l’Aurelia (via Donato Somma), quasi a Bogliasco, dove persino gli autobus svoltano tra due curve cieche.
Il risultato? Gli automobilisti non rinunciano all’auto, però s’infuriano e le code si esasperano. Quando invece è evidente che, per l’inquinamento e la scorrevolezza del traffico, è molto meglio che la fiumana di mezzi che popola le nostre strade al mattino viaggi senza troppe soste. Ne guadagnerebbero i mezzi pubblici (che, pure, non brillano per efficienza), ostaggio tanto dell’indisciplina degli utenti privati – che non sto difendendo: basta pensare all’odioso ricorso al posteggio in seconda fila – quanto dell’intasamento delle strade, spesso indotto da semafori crudeli posti ad incroci che invocherebbero soluzioni alternative.
Il futuro non sembra portare in dote un miglioramento: le strade sono quelle, e le risorse – si sa – scarseggiano. Se poi quelle poche le spendiamo in semafori…

PICCOLI TROMBONI CRESCONO

Uno dei più gravi fardelli che la cultura italiana (le altre non le conosco a sufficienza) si porta dietro da sempre, e comunque con gran profusione di energie nel dopoguerra, è il trombonismo.
Si tratta di quella sindrome per la quale solo gli eletti (che si autoeleggono) ed i chiamati (che si chiamano a vicenda) possono pontificare su qualunque cosa e fare opinione. La loro posizione di eminenti tromboni li rende ad un tempo custodi e creatori della verità, nonché giudici di altrui tesi. Per capirci, come se le partecipanti a Miss Italia oltre a concorrere valutassero da giurate le avversarie.
Ne abbiamo visti: personalmente, limitandomi al campo socio/politico, ho sempre apprezzato particolarmente poco Norberto Bobbio, sicuramente persona seria e degna ma altrettanto certamente noto e squillante trombone.
Guai ad avversare le tesi di costoro: la difesa corporativa scatta immediata, respingendo con veemenza l’intrusione. Difficile, quasi impossibile farsi accettare, a meno che non si venga cooptati.
L’amico Stefano, uno dei più assidui frequentatori del Casello fin dalla prima ora, mi fa notare lo spiegamento di… trombe (e tromboni) a celebrare la dipartita di Alda Merini, irrequieta ed effervescente poetessa milanese per la quale, subitanei, sono partiti i coccodrilli.
La cosa bizzarra è rilevare che, assurti a tromboni (in erba), si sono mossi alla causa personaggi di certo distanti dall’immaginifica scrittrice dei Navigli (cito, tra gli altri, Jovanotti), per i quali non riesco ad immaginare un’assiduità con i versi di Alda Merini ed eventualmente quella capacità interpretativa che richiede, come minimo, l’ampio possesso del lirismo della defunta poetessa. 50.000 (cinquantamila!) iscritti al neonato Gruppo Facebook intitolato ad Alda Merini: quante poesie avranno letto in media costoro? Per non dire: quante ne avranno comprese? Quanti ne conoscevano esistenza ed opere prima che il circo mediatico ne descrivesse la parabola, fatta di versi, di ricoveri, di salite e di discese?
Però riempirsene la bocca – specie adesso che, poveretta!, non può più difendersi – fa tanto introdotto. Il primo passo nella scalata al titolo di trombone.

IL MURO DI BERLINO, VENT'ANNI FA

Io me lo ricordo bene, il Muro. Quello che è crollato, implodendo nelle sue contraddizioni, una notte di novembre di venti anni fa. Quello che divideva due universi, due culture, due modi di recitare la commedia della vita, due poli magnetici che – spezzando la calamita – si ritrovano in ciascun moncone, il polo positivo e quello negativo.
Io me lo ricordo, quel Muro, perché ero e sono tra quelli che, nel loro raffronto, hanno schifato gli anni settanta ed amato gli anni ottanta: tutto più bello, più colorato, più saporito, dalla moda alla musica, dal cinema all’amore, giù giù fino al mangiare ed al bere.
Quel muro che crollava a Berlino correva anche tra di noi, e divideva in modo non sanabile chi stava di qua da chi stava di là. Chi sapeva che di qua c’era il migliore dei mondi possibili (con tutte le sue imperfezioni), che si era liberi, ci si poteva esprimere sempre e su tutto, e chi ha sempre pensato che avessero ragione loro, dall’altra parte, perché l’idea era quella giusta, e ad essere sbagliata era l’applicazione. Illusioni!
Io me lo ricordo bene, il Muro. Perché ero tra quelli che, fin da subito, intuivano che dietro il pacifismo e la voglia di disarmo unilaterale di metà anni Ottanta c’erano i rubli della disperazione di chi era perfettamente consapevole che il “Sol dell’Avvenire” stava per tramontare. Non c’erano i mezzi per fronteggiare l’Occidente sul piano della tecnologia, mentre i danni procurati dal Papa polacco (non per altro, bersaglio di un attentato) aprivano un fronte interno – quello delle coscienze – non meno pericoloso di quello esterno, quello degli strumenti.
Io me lo ricordo bene, il Muro. E soprattutto non dimentico gli “utili idioti” che – chissà quanto intenzionali – sottolineavano i nostri difetti per distogliere dalle tragedie dell’altra parte. Nelle canzoni, ad esempio, dove Antonello Venditti se la prendeva con Sting perché quest’ultimo si chiedeva se “i russi amano anche loro i bambini”, o dove Luca Barbarossa, con (sua) ironia, osservava “quanto siamo bravi al di qua del Muro” (sottinteso: noi, col nostro trave nell’occhio, che cerchiamo la pagliuzza in quello degli altri.
Io me lo ricordo bene, il Muro. Perché il comunismo non esiste più, e per fortuna anche comunisti ne sono rimasti pochi. Ma il loro metodo è duro a morire, anche oggi.

BUON COMPLEANNO, ALPINI!

Oggi, 4 novembre, è il 91^ anniversario della Vittoria, che nel 1918 completò il processo di unificazione nei confini voluti da oltre duemila anni di storia della “Nazione Italiana” (e oggi qua e là mutilati, soprattutto ad est).
E’ anche la Festa delle Forze Armate, e ai nostri ragazzi impegnati nelle missioni all’estero va un caloroso abbraccio da tutti gli amici del Casello.
La ricorrenza, cara in sé, lo è anche perché ci permette di ricordare che da 90 anni l’ANA – Associazione Nazionale Alpini – tiene alto (fra le tante, grandiose opere che compie, per lo più in silenzio ed ignorata dalla comunicazione “ufficiale”) il ricordo dei nostri nonni che sul Carso e sulle Dolomiti immolarono la loro gioventù per sconfiggere un nemico superiore per numeri e mezzi.
Nel luglio 1919, mentre l’Italia era percorsa da gravissimi fremiti di matrice anarchica e socialista che quasi colpevolizzavano coloro che avevano combattuto e vinto in quanto portatori di una (per costoro) inaccettabile retorica guerrafondaia e patriottica, ed in nome di un assurdo “abbattimento dei confini” (per i quali, invece, erano morti a migliaia, e moltissimi da eroi), ebbene, in quest’Italia un gruppo di reduci espose il Tricolore – che sovversivi! – in Galleria a Milano, addirittura contro il parere del Prefetto. E nessuno osò.
Perché “gli alpini non hanno paura”, come dice un loro celebre canto, e nessuno è mai passato di lì. Basti ricordare, in tempi più vicini a noi, lo striscione: “Fatevi avanti, se avete coraggio!”, rivolto esplicitamente durante un’adunata nazionale alle BR. Che, infatti, intrise di viltà ed opportunismo, aduse a sparare a poveri Cristi beccati da soli per strada e possibilmente di spalle, non si fecero avanti.
Buon compleanno, Alpini!

AIUTO, ARRIVA LA POSTA ELETTRONICA!

In mancanza ed in attesa di riunioni con le quali esercitare le orecchie ed il gusto per la lingua che fu di San Francesco, Dante e Manzoni, di quando in quando mi soccorrono i messaggi di posta elettronica.
E’ piuttosto frequente, nell’utilizzatore di questo fondamentale e ormai irrinunciabile strumento di comunicazione, lo sbarellamento linguistico fatto di abbreviazioni e onomatopee: “che” scritto con la K (“ke kazzo state skrivendo?”), “non” abbreviato in “nn” (come gli insegnanti di italiano di questi somari), oppure la formula “fyi”, in coda al messaggio (che sembra - e probabilmente è - un raglio, ma vorrebbe significare “for your information”, perché il vecchio, caro “p.c.”, cioè “per conoscenza”, è troppo dialettale), e via ranzando.
Tra le ultime chicche - con la “i”: meglio precisare, visto cosa accade in certe regioni d’Italia – ecco presentarsi il “basic point”, forma asinina del già deprecabile “basis point”, adeguatamente vituperato in passato su queste pagine.
Sarei poi curioso di sapere cosa sia la “flattizzazione”, da non confondere con la flatulenza linguistica dell’estensore: perché non utilizzare un sostantivo derivato dal verbo “uniformare” (pur in sé non certo brillante), al posto di questa grottesca italianizzazione del tremine anglo “flat”, che significa “piatto, piano”?
Da non trascurare nemmeno quanti, in coda alla loro missiva, ti chiedono di fare una certa cosa “per favore”, scrivendo “pls” (cioè “please”), oppure ti ringraziano scrivendo “thks” (“thanks”). Ma vfc!
Interessante anche l’abuso della locuzione “Certi di fare cosa gradita…”, in testa o in coda a messaggi recanti per lo più pessime novità. Ci vuole una discreta dose di faccia come le terga per scrivere amenità come: “Certi di fare cosa gradita, vi inoltriamo l’elenco dei reclami della clientela trasformatisi in denunce nei vostri confronti presso la Procura della Repubblica”. Però, se non proprio in questi termini, succede anche questo…

BERSANI, LA MUFFA AL POTERE.

Qui al Casello, si sa, non siamo propriamente di sinistra. E neppure siamo tra quelli che non credono più alla distinzione fra schieramenti ed ideologie, in nome di un concretismo bottegaio che non ci appartiene. L’affetto per le tradizioni e l’attenzione verso il nuovo sono complementari in una visione organica della realtà politica.
Detto questo, non ci si può esimere da una veloce valutazione sulla (prevedibile) vittoria di Pierluigi Bersani nella corsa alla segreteria del PD.
Vista da avversario, c’erano buoni motivi per tifare a favore del successo dell’uno o dell’altro dei due (tre, ma Marino non è mai sembrato in corsa sul serio) contendenti.
Franceschini sembrava incarnare un modo di vedere e fare innovativo, fingendo pragmatismo assolutista antiberlusconiano e assenza di ipoteche ideologiche, smentite però dai continui richiami alla Costituzione e all’antifascismo (che, come i lettori del Casello sanno bene, è il mio personale peggior nemico, e condiziona come poche altre cose i miei giudizi). L’eterno ragazzo emiliano si è però dimostrato ingenuo nell’approccio e velleitario nei presupposti: impensabile cestinare in pochi mesi una lunga tradizione fatta di sezioni e Feste dell’Unità. A ciò ha abbinato fin da subito un atteggiamento manicheo e paradipietrista che ne facevano un interlocutore pessimo (o, meglio, un non interlocutore) per chi ipotizza finalmente rapporti di civile convivenza tra maggioranza ed opposizione. La sua eventuale vittoria avrebbe avuto sull’elettorato di area progressista una forte presa identitaria ma senza portare, probabilmente, un solo voto in più.
Bersani, al contrario, rappresenta il vecchio, il già visto, l'ammuffito, il rassicurante trionfo del “si è sempre fatto così”, non importa se con ragione o con torto. Ora proverà a rimettere in sesto i cocci di una coalizione pietosa, che si coagulerà contro il nemico usurpatore pur cercando in qualche modo di compromettersi con esso. Qualche volta riuscirà persino a vincere, ma – come in passato – non a governare, troppo compressa tra le diverse ed inconciliabili anime del suo variopinto catalogo.
Alla fine, la mia impressione è che il vero vincitore di questa tenzone sia Pierferdinando Casini, il quale attendeva in regalo proprio questo esito: i transfughi (che non saranno pochi, né marginali) proveranno per l’ennesima volta la carta del Grande Centro. Cosa dite, amici del Casello: stavolta la faranno uscire?

CASCINA ROSSA, PROFUMI DI LANGA


La passione e la curiosità per il mondo del vino mi conducono spesso per mano, ad assaggiare senza intenti scientifici e, quindi, da dilettante (nel senso migliore e letterale del termine: colui che si diletta) etichette e provenienze che non conosco. Lo scopo, ben poco nascosto, è quello di cercare e trovare quelle perle – oggi non così rare, ma sempre preziose – che si nascondono nelle tante ostriche della grande tradizione italiana.
Racconto oggi di due vini che hanno fatto suonare le campane a festa, colpendo l’immaginazione quasi quanto il palato e regalando momenti di poesia ai cinque sensi (oh, yes! Tutti e cinque, tatto e udito inclusi).
Parlo dei due vini che ho avuto il piacere e l’onore di degustare prodotti dall’Azienda “Cascina Rossa” di Valle Talloria (CN), famiglia Veglio: Nebbiolo d’Alba e Dolcetto di Diano d’Alba “Sorì Utinot”.
Entrambi raccontano, più e meglio di tanti discorsi (e quindi soprattutto dei miei), della passione storica e familiare per il proprio lavoro e la propria terra, il rispetto del connubio fra tradizione ed innovazione, il gusto per le cose belle e fatte per durare.
Per non smentire quanto appena solennemente proclamato eviterò di addentrarmi nelle descrizioni tecniche che fanno colto e che piacciono a chi ama il “vino parlato” anche più del “vino bevuto” (n.d.C., nota del Casellante: è un problema diffuso, caro amico del Casello: pensa – ad esempio – al rapporto tra “sesso parlato” e “sesso praticato”…).
E parto dal Nebbiolo, un vino di nobile progenie e di gran stoffa, austero ma rotondo, quasi impegnato a smentire chi ne considera le uve come mere fornitrici di Barolo e Barbaresco.
Di colore rosso rubino intenso, ciò che più colpisce è l’armonia sviluppata in tutte le dimensioni olfattive e gustative, un equilibrio che ne fa il commensale ideale per paste fatte in casa (che so, i mitici Tajarin o gli agnolotti) e le carni grigliate.
Eccellente il Nebbiolo, eccellente anche il cru “Sorì Utinot”, Dolcetto di Diano d’Alba che sa essere al contempo gioviale e vigoroso, quasi a voler sintetizzare la dialettica in voga da qualche anno sull’essenza di questo vitigno così tipicamente piemontese da vantare addirittura dodici DOC diverse (più un paio di DOCG). C’è chi, tra le due fazioni, lo vuole fresco e beverino, come da tradizione, e teme che l’eccesso di alcolicità e il passaggio in legno ne travisino il significato tradizionale, rendendolo anonimo; e chi – al contrario – vede nell’affinamento e nella maturazione un contributo all’esaltazione di caratteristiche da sempre ben presenti ma in precedenza lasciate soltanto all’immaginazione.
“Sorì Utinot”, a parer mio, li mette d’accordo tutti. Dal colore rosso scuro con sfumature dal fucsia all'indaco, al naso evoca i prati di maggio, in una sinfonia che ricorda alcuni Dolcetto monferrini (come certi squisiti ovadesi) più che langaroli, e al gusto riempie il palato con la gioiosa fragranza dei piccoli e morbidi frutti rossi (dalla ciliegia alla mora) che sembra richiamare.
Davvero davvero davvero, amico del Casello: sorprese piacevoli. Un sorso, e le rudezze della vita ordinaria, per un lungo e caldo momento, sono fuori dal radar.

UN ANNO AL CASELLO!

E’ trascorso un anno da quando, senza troppe conoscenze né capacità, e persino con poca attenzione verso cosa come quando eccetera, il vostro Casellante è salito sul primo treno e ha raggiunto questa sua destinazione.
Un anno intenso, ricco di eventi, denso di fatti e curiosità, molti dei quali hanno avuto eco sul nostro nodo di scambio che poi ha trattato anche spesso argomenti poco risaputi e più “de noantri”.
Seimila le visite, cinquecento al mese, isole incluse, che per un’iniziativa ignorata dai media principali e finora (deliberatamente) passata sotto traccia sono davvero una cifra ragguardevole. Un traguardo importante di suo, ma anche utile per comprendere quale direzione intraprendere, in che modo proseguire.
Il secondo anno al Casello porterà altre novità: qualcosa muterà nella grafica, i contenuti verranno costantemente aggiornati, si punterà ad allargare la cerchia degli amici (e, aggiunge il Casellante, anche quella dei nemici).
Una cosa però il Casello chiede ai suoi amici: una maggiore intraprendenza nella partecipazione. Al momento della partenza in tanti avevano giurato presenza attiva, mentre invece note, commenti e contributi sono stati numericamente scarsi, soprattutto in rapporto alle visite (quelle, al contrario, sostanziose).
Sappiamo per certo che la pigrizia è il nemico da combattere e vincere. Poiché intervenire è molto semplice e non richiede né autenticazioni né registrazioni, proviamo ad eliminare questa nostra ingombrante compagna di vita.
Evviva!

PER UNA VERA LIBERTA' DI STAMPA

Tanti di voi lo sanno, sono un giornalista. Lo sono non “lo faccio”. E’ un mestiere che – al pari di pochi altri - coinvolge l’essere, non l’occuparsene. A questa professione tengo particolarmente perché è la mia, quella che voglio, quella che sono capace di fare, io, comunicatore per indole e attitudini, perfino a prescindere da dove mi possano portare le contingenze e le necessità di bottega.
Conosco quindi piuttosto bene le dinamiche che muovono questo mondo, con l’aggiunta che ho anche la fortuna di vivere due diversi contesti lavorativi talmente spaiati tra loro da consentirmi raffronti audaci ma con cognizione di causa.
E allora: se il “padrone” azienda finanziaria (o commerciale, o industriale) – con tutti i difetti che possa avere – appare infinitamente più serio (rispettoso degli impegni e delle persone, organizzato, preciso) del “padrone” editore, sul piano dell’espressione individuale la bilancia pende esattamente dall’altra parte. Il giornalista gode di licenze che il più callido impiegato nemmeno s’immagina.
Ciò premesso, sistemati – da uomo di penna – alcuni puntini sugli “i”, trovo ridicolo – massì, RIDICOLO, MAIUSCOLO – che in Italia si manifesti per la libertà di stampa, contro un presunto bavaglio che un presunto tiranno imporrebbe con la conseguente deriva dittatoriale che tenderebbe a mettere la mordacchia alle voci non allineate.
Ma scherziamo? Possibile che pochi o nessuno si rendano conto di quanto sia cretino sostenere queste teorie strampalate, tutte politiche (partitiche, partistiche, faziose), nel Paese delle seicento testate e delle milleduecento (1.200) emittenti? Chiunque – compreso il vostro Casellante – può permettersi di dire e scrivere quello che vuole, assumendosene la responsabilità. Vi pare poco? Nelle dittature (che so, cari progressisti: diciamo Cuba) succede qualcosa di anche lontanamente paragonabile?
Non è forse libertà di stampa, in uno stato che versa agli editori (che ne fanno un uso fin troppo disinvolto) mille milioni di euro all’anno, unico caso al mondo, poter vomitare veleno sulla fazione che si intende avversare, a monte e a valle del fatto che ciò che si scrive sia vero o anche solo verosimile?
Un atteggiamento cialtronesco e poco credibile, salvo per i gonzi che “l’importante è dare addosso all’usurpatore illegittimo”, e chissenefrega – in nome della democrazia – se la gente lo ha votato. Le elezioni sono dopate, estrogenate dal tiranno, quindi invalide, e il risultato anticostituzionale. Lo scrivono, poverini, però non si sentono abbastanza liberi…
La stampa è libera, altro che idiozie: sono certi suoi esponenti a non esserlo.

LE PERSONE SCOMPARSE, UN DRAMMA CHE SI RIPETE

Anni di attenzione al mondo della “nera” mi hanno convinto di una cosa: se per l’ordinamento giuridico inglese, a diritto non codificato, il principio saliente è il cosiddetto “habeas corpus” (in soldoni: presentati con una prova e io ti farò giustizia), il modo migliore per farla franca – e realizzare così il delitto perfetto, luogo dell’immaginazione di tante menti perverse – passa attraverso la negazione di tale principio.
Avete mai riflettuto, amici del Casello, a quante persone scompaiono ogni anno in Italia e nel mondo? Un numero incredibile. Un fenomeno, questo, giunto solo negli ultimi vent’anni sotto gli occhi dei riflettori mediatici, segnatamente grazie alla trasmissione “Chi l’ha visto?”, esempio positivo – malgrado qualche contaminazione ideologica, specie negli ultimi anni – di televisione di servizio, che ha contribuito a far luce su molti casi drammatici e a tenere alta l’attenzione su tantissimi altri sui quali gravava altrimenti la cupa prospettiva dell’oblio.
Certo, c’è chi sparisce deliberatamente. Succede, ed in questi casi nessuno discute il diritto di chi porta la propria avversione verso il mondo che lo ha visto protagonista fino al giorno prima fino alle estreme conseguenze. Ma la stragrande maggioranza delle scomparse racchiude in sé un dramma. Della solitudine, della malattia, della disperazione, della disattenzione. Quando non dell’incontro sbagliato.
Sì, perché – chi segue questo genere di vicende lo avrà notato – quando uno scomparso non viene ritrovato nei primi tempi dopo la sparizione, è assai probabile che sia morto. Una disgrazia, un suicidio, un delitto: la statistica dice che le (rare) persone ritrovate a distanza dalla scomparsa non potranno quasi mai raccontare cosa è davvero accaduto.
E quindi, pensando a casi anche recenti: quante famiglie non hanno nemmeno la consolazione di una pietra sulla quale piangere la persona cara! E, come corollario: quanti delinquenti, con tutta probabilità, si nascondono tra noi, a volte solo sfiorati dal sospetto, a volte neppure quello.
L’associazione “Penelope” da anni si batte per il conforto e l’aiuto alle famiglie delle persone scomparse, promuovendo anche un’iniziativa legislativa che possa contribuire a far luce sui tanti, troppi misteri irrisolti (alcuni anche di risonanza mondiale, dalla scomparsa dei cattedratici Ettore Majorana e Federico Caffè a quella di Emanuela Orlandi e Mirella Gregari, fino al giudice Paolo Adinolfi). Ad esempio, in Italia non c’è una banca dati accentrata che metta in relazione i cadaveri senza volto conservati per anni negli istituti di medicina legale con le persone scomparse.
Noi, qui al Casello, se possibile una mano la diamo volentieri. La parola a voi che transitate da qui.

CHEESE! SORRIDI...

Bra è una graziosa città piemontese dall’impianto romano ma dall’impronta barocca, una delle tante, piccole capitali di cui è disseminata la Provincia Granda e, più in generale, il Piemonte.
Alle porte del Roero e a pochi passi dalla Langa, Bra è rinomata tra le altre cose per il suo eccellente formaggio DOP, nelle versioni “Duro” e “Tenero”.
Anche solo per questo l’antica “Brayda” si fregia del titolo di “Capitale del Formaggio”, che si concretizza in settembre nei tre giorni di “Cheese”, una delle manifestazioni del settore di maggior rilevanza al mondo, organizzata con crescente successo da Slow Food.
Nell’ordinato ed elegante centro cittadino si susseguono gli stand e le iniziative, con espositori provenienti da molte parti del pianeta.
I visitatori – tanti, di ogni età – possono degustare prelibatezze note e prodotti di nicchia, in un caleidoscopio di sapori che sa soddisfare esigenze e palati diversi.
Naturalmente, l’Italia domina la scena, con le sue produzioni più famose ma anche con etichette note solo in ambiti ristretti.
Non possono e non devono però essere tralasciati gli altri attori di grande rilevanza internazionale, come Svizzera, Francia, Olanda, Spagna, Irlanda, la Gran Bretagna con il famoso e prelibato Cheddar nelle diverse stagionature.
Qua e là – in fondo da queste parti si beve un mondo straordinario di vini rossi e bianchi – ecco aprirsi anche stand enologici, dove sgrassarsi il palato con un bicchiere di vino buono.
Una bella iniziativa, quindi, che ci sentiamo di promuovere, proprio come da quelle parti si promuovono le eccellenze casearie di tutto il mondo.

AMICO DEL CITTADINO???

Che i vigili possano essere utili al traffico ormai sono in pochi a crederlo. Forse parliamo di una categoria sfortunata: invisi alla gente, ingombranti quando sarebbe meglio non ci fossero e assenti quando necessari, la loro presenza agli incroci di norma sembra aggravare l’ingorgo anziché renderlo più spedito.
Da tempo gli amici di “Onde Storte”, la trasmissione cult di Radio Nostalgia che ha festeggiato qualche mese fa i trent’anni di etere, ne fanno una caricatura che esaspera i toni di un atteggiamento che ricorda quello dei “forti con i deboli, deboli con i forti”.
Un episodio recente accaduto ad un amico, finito anche sulla stampa cittadina, pare enfatizzare ancora di più questa loro poco simpatica nomea.
Questo amico, che proprio debole non è (è un ex parlamentare ed ex assessore regionale), incontra sul suo scooter una macchina dei vigili che procede a lampeggianti spenti sulla corsia degli autobus. Poco male, pensa lui, però se non hanno fretta perché non stanno nelle corsie ordinarie? Poi si affianca alla vettura, e vede che il cantunè al volante sta tranquillamente usando il telefonino. “Non è un bell’esempio!”, dice loro.
Al che, inesorabile, parte la ritorsione: “Accosti e favorisca i documenti”.
L’amico ribadisce: “Visto che non avete fretta, usate le corsie ordinarie e fermatevi a telefonare.” Ovviamente la perquisa si fa più severa, e - come sempre in questi casi - qualcosa che non va lo si riesce a trovare: 78 euro di multa per gomma posteriore usurata.
L’amico, giustamente, ha scritto al comandante dei vigili, con nomi e cognomi. Se fossimo in un paese normale, e soprattutto in una città normale, mi attenderei provvedimenti molto seri verso i due artefici di questa vessazione bella e buona. Ma non credo andrà così.
La cosa che più amareggia il cittadino è che questi signori non solo credono di avere diritto ad una sorta di impunità (e poi c’è chi fa le crociate contro il Lodo Alfano… ridicoli!), ma guadagnano di più, si avvicinano al loro budget annuo, fanno risultati, come in qualunque azienda, visto che abbiamo recentemente scoperto che i vigili prendono la cagnotta -ufficiale, ma che non si sappia in giro, e comunque pur sempre cagnotta – sulle multe affibbiate.
Mi chiedo, e vi chiedo: dov’è il servizio al cittadino?

LEZIONE DI MARKETING

Quest’estate mi è capitato di girare per bene la nostra spettacolare e geniale Italia, al nord ma anche al sud. Sono tante le cose che hanno colpito la mia attenzione, ma una merita la prima copertina della stagione 2009/2010 al Casello.
Occhio alla foto: è stata ripresa presso una rotonda alla periferia di Alba, la splendida capitale delle Langhe, caput mundi della buona gastronomia e dell’eccellenza italiana (cioè mondiale) del vino.
Chi l’ha escogitata è un genio. Punto. In termini di marketing, questo vale più di cento consulenti “Mc di qua – Mc di là”. Diciamo che è l’antitesi di quei ragazzotti in gessato che prendiamo di mira quando sentiamo maltrattare la lingua italiana. Proprio perché siamo agli antipodi dell’archetipo sopra descritto, temiamo solo un rigurgito di perbenismo. Speriamo che i tanti, troppi “grilli parlanti” di cui è punteggiato il nostro pur grande Paese non insorgano con speciose argomentazioni sull’induzione al grave peccato etilista o scemenze simili.

E ADESSO SI RICOMINCIA!

Nuova stagione, nuovo casello. In ogni senso. Nelle peregrinazioni estive, il vostro casellante ne ha scovato uno graziosissimo presso Cunico, lungo la splendida linea ferroviaria che da Asti raggiunge Chivasso, famosa anche per l’architettura originale dei suoi fabbricati di servizio.
Sarà l’immagine che ci accompagnerà nel periodo che ci separa dalla stagione fredda, quando il suo predecessore (che – per la cronaca – si trova vicino a Pianfei, lungo l’altrettanto pittoresca tratta Mondovì – Cuneo) tornerà al suo posto, con la compagnia della neve che lo circondava.
Ma nel frattempo molti treni saranno transitati sui nostri binari.

W L'ESTATE!

IL CASELLO VA IN VACANZA. RIPRENDERA' LE SUE NOTE DI VIAGGIO ALLA FINE DI AGOSTO, CHE POI E' IL MESE CARO AL CASELLANTE.
A TUTTI GLI AMICI IN TRANSITO, AUGURI SINCERI DI UNA FELICE ESTATE!

CIAO MICHAEL!

Michael Jackson, un'altra leggenda che se ne va. Non sono mai stato un fan nel senso più vero di questo grande interprete della musica pop (nel significato pieno del termine: pop = popular). Non ho fatto code per comprarne i dischi, malattie per vederne i concerti o scene turche per zittire chi parlava quando alla radio trasmettevano una sua canzone.
Devo però riconoscere che in lui abbiamo visto un fuoriclasse di quella particolare arte che abbina la musica allo show, e tanto per cambiare frutto di quegli anni ottanta che solo i noiosoni identificano come un periodo mediocre (secondo me, il miglior decennio mai visto).
Memorabili le sue performance dal vivo, quando cantava e ballava con quel suo stile inimitabile dimostrando a tutti che "ci vuole un fisico bestiale". Avrei voluto vedere, tanto per dire, Francesco Guccini abbozzare qualche passo durante una sua performance.
Infelice come tutti i Re Mida dello spettacolo, stravagante nel suo essere e nel suo apparire, lascia dietro di sè quell'aura di mistero e di maudìt che - prima di lui - ha circondato altre uscite di scena inattese e cariche di dubbi.
Infatti è già partita la caccia al vero Jackson, che si troverebbe chissà dove, assieme a Elvis, James, Marylin, Bob Marley... E prima o poi, ci scommetterei, qualcuno fonderà anche una chiesa sulle reliquie ed il pensiero (I'm Bad?) di Michael.
Per ora, visto che i lunghi e forti clamori del giorno dopo si stanno a poco a poco affievolendo, anche a te, ragazzo, gli auguri di buona permanenza nel luogo in cui ti trovi.

FERRARA: GIUSTIZIA PER FEDERICO

Ho seguito fin dall’inizio il caso di Federico Aldrovandi, il ragazzo di Ferrara morto in circostanze misteriose mentre, rientrando a casa dopo una nottata con gli amici, era stato fermato per un controllo da una pattuglia della Polizia.
In realtà, anche a sentire le testimonianze di coloro che avevano avuto modo di assistere in tutto o in parte alla scena, la dinamica dei fatti a me è parsa subito piuttosto chiara: qualche parola in eccesso, la discussione che sale di tono, Federico immobilizzato a terra che non riesce più a respirare, l’epilogo tragico.
Seguendo la vicenda grazie a “Chi l’ha visto?”, la trasmissione che da ormai vent’anni continua a dare voce alle vittime di sparizioni e delitti senza colpevole, mi sono fatto l’idea che qualcuno, da subito, cercasse di orientare indagini ed esiti verso quanto meno un concorso di colpe tra il povero Federico e la pattuglia. Quando invece appariva chiaro, e vieppiù con il trascorrere del tempo, che probabilmente quella mattina qualcuno aveva un po’ esagerato.
Fin qui, non c’è nemmeno tanto da aggiungere. Il problema è stato però che a remare contro si sono poi verificati alcuni fatti inquietanti: la difesa corporativa degli agenti coinvolti; le improvvise amnesie e reticenze di alcuni testimoni; le asserite minacce più o meno velate subite da qualcuno; la comparsa sulla scena di storie – poco credibili, in verità – di droga.
Il processo, anche se siamo solo al primo grado di giudizio, sembra però aver fatto piazza pulita di queste piccolezze, con la condanna, apparsa ineccepibile a tutta l’opinione pubblica (non solo ferrarese) dei responsabili di un assurdo eccesso interpretativo del proprio ruolo. Un malessere che mi sembra finisca per contagiare troppo spesso chi indossa una divisa (si veda anche la morte del povero Gabriele Sandri), la cui utilità va rivolta alla sicurezza dei cittadini e non a fornire coperture o sensazioni rambesche a chi la indossa.

TIGULLIO VINI, UN'OASI DI GUSTO

Tigullio Vini è una manifestazione che, per gli amatori nostrani del buon bere, si sta affermando da diversi anni come un appuntamento importante per il mondo dell’enologia ligure, non solo e non tanto per quanto riguarda le produzioni locali, ma anche – e, forse, soprattutto – per quelle aziende che intendono proporsi al pubblico delle due riviere.
Premesso che certe sensazioni, certi piaceri, certi gusti, non si possono demandare a terzi – diceva Veronelli, il fuoriclasse d’ogni tempo dell’enologia italiana, che ogni vino ha un rapporto diverso con chi lo beve – il vostro casellante ha partecipato a questo piccolo florilegio di prelibatezze in bottiglia, raccogliendo impressioni e collezionando delizie.
Attesa l’alta qualità generale delle proposte (erano presenti case celeberrime), e nel rilanciare la sfida di designare la loro personale preferenza ai tanti amici del Casello a loro volta presenti tra i banchi della Sala del Maggior Consiglio del Palazzo Ducale di Genova, tra le molteplici squisitezze degustate vi racconto in breve del vino che mi ha colpito di più: l’Etna Rosso Serra della Contessa di Benanti (95% Nerello Mascalese – 5% Nerello Cappuccio), un vigoroso quanto armonioso vino dell’entroterra catanese che sorprende il naso per la tipicità dei profumi e non meno il palato per l’articolata tavolozza di gusti. Vino che ben si presta ad accompagnare secondi piatti importanti, capace di invecchiare senza rughe, sembra essere lì apposta a testimoniare gli enormi progressi della viticoltura siciliana degli ultimi anni. Con l’aggiunta dell’avere a base delle proprie armonie due antichi vitigni autoctoni, che beneficiano in modo evidente delle moderne tecniche di coltivazione e di vinificazione.
Ma è solo uno tra i tanti, grandi vini incontrati a Tigullio Vini, e non voglio fare torti a nessuno. Perché la cosa che più colpisce, uscendo da questi eventi, è l’amore con il quale produttori e distributori trattano il loro prodotto. Il frutto di tanta devozione va anzitutto e sol per questo rispettato; e poi, non può che essere eccellente. Agli amici del Casello la giusta chiosa.

UNA RISATA LA SEPPELLIRA'!


Dovrebbe essere un momento triste, un funerale. E forse, per il peggior sindaco che Genova ricordi, può essere così. Ma l’atmosfera che si respirava in via Garibaldi, oggi, con orchestrina, bara con il “de cuius” e corona di fiori, era al contrario piuttosto ilare. Così ilare da provocare grasse e rotonde risate nei partecipanti al funerale più spiritoso della storia, quello alla pessima giunta Vincenzi.
Organizzata (benissimo) dall’associazione Merito, al turibolo il “Celebrante” Maurizio Gregorini, vero ispiratore di questa trovata intelligente e spiritosa, questa manifestazione di dissenso ha colpito nel segno per ironia, significato, ma anche senso della misura: niente sguaiatezze da “no global”, niente cori da antagonisti duri e puri, niente volgarità. Purtroppo, anche “niente opposizione”, come del resto da due anni a questa parte. E anche questo è un problema che dovrà essere affrontato.
C’erano invece i portantini, i genovesi vestiti a lutto, ed anche fotografi, cineoperatori, giornalisti, curiosi, passanti, persino turisti a caccia di un’immagine originale. Mancava lei, la sindachessa lessa, che con i suoi compagni di merende ha preferito ignorare l’evento, anche a livello di comunicazione (e chissà quanto, a lei così poco sportiva, dev’essere costato) ed entrare – gesto vigliacco, da coniglio, in sintonia con il personaggio e i suoi accoliti, dimostrazione di timore per una piazza vessata – per una porta secondaria a Tursi. Quella dalla quale ci piacerebbe vederla uscire, tra uova e pomodori, definitivamente dal nostro orizzonte.
Purtroppo per tutti noi, ad oggi il sindaco è ancora lei, quella dell’ICI più cara d’Italia ma sempre per colpa degli altri, delle zone blu anche sui piazzali privati, dell’AMT piena di debiti e incapace di riformare se stessa ed il servizio pubblico, delle spregiudicate operazioni immobiliari a Carignano (spacciate per servizio alla cittadinanza, e con fior di connivenze!), delle impudiche imprese al Lido e a Vernazzola, sbertucciate persino alla TV, come fosse una Wanna Marchi qualunque (ma il ceppo sembra proprio quello…).
Ma proprio come i partecipanti di oggi più volte hanno evidenziato, una risata la seppellirà. Non sempre sono i migliori quelli che se ne vanno…

IL PDL E LA SCONFITTA IMMAGINATA (DAGLI ALTRI)

E adesso ci sarà anche chi vorrà dire che il grande sconfitto della tornata elettorale europea è il PDL! Perchè è questo che gira su TV, giornali, radio, internet, bocche, sederi e via elencando: il PD ha tenuto (- 7% rispetto ad un anno fa, - 5% rispetto alle precedenti europeee 2004, anno del primo esperimento congiunto - sotto la regia del narcomortadella - tra le due sinistre italiane); il PDL ( - 2% scarso rispetto ad un anno fa, quando però il partito unico ancora non esisteva) ha perso.
Perchè ha perso il PDL? Perchè non ha sfondato. Non ha dilagato. Non ha stravinto. Non ha fatto - diceva il sempre spiritoso Piero Fassino, a urne appena chiuse - quel salto al 45/48% che ipotizzava Berlusca (che in effetti su certe cose continua a fare un po' lo sborone).
Perchè ha retto il PD? Perchè non si è sciolto. Non si è squagliato come neve al sole. Non è sceso al 20/21% come vaticinavano i nemici. Giusto. Del pari, la Reggina non può considerarsi insoddisfatta del campionato, perchè è sì retrocessa, ma non è arrivata ultima e ha fatto trenta punti.
Bah! Lasciamo a quella simpatica sagoma di Franceschini il suo anti di qui, anti di là. La sitiuazione è questa: con un'uscita imbelle di uno scriteriato che in Sicilia è costata 800.000 voti al solo PDL (toh, sarebbe stato un 2 % in più), e con un astensionismo notevole (ma pur sempre inferiore al resto d'Europa), ed è il caso di ricordare che tre astenuti su quattro sono solitamente del campo moderato, la coalizione al governo non solo tiene, ma nel complesso si rafforza. Porta via province e comuni in quantità industriale alla sinistra, e non solo quelli che erano finitì di là della disgraziata tornata del 2004 (come ho sentito sostenere da qualche male informato). E ora si accinge a tentare un'altra rimonta in ballottaggi che solo due/tre anni fa sarebbero stati un'utopia.
Certo, le responsabilità verso il Paese e le amministrazioni locali aumentano. E qui si misurerà la capacità di ben governare. Ma i numeri e il primo anno di gestione lasciano la sensazione che il centro destra stia andando un po' meglio - più deciso, più preciso - del 2001. Se sono rose...

IL GIRO DEL CENTENARIO

Si è concluso oggi il Giro d'Italia del centenario, un'edizione che francamente mi è parsa al di sotto delle aspettative e priva di vere vedettes.
Ha vinto il russo Menchov, al primo successo importante della sua carriera, cosa che la dice lunga sul livello della corsa rosa di quest'anno. Tanto per dire, lo scorso anno Alberto Contador aveva destato ben altra impressione.
Maluccio gli italiani, sebbene tutti nelle posizioni di immediato rincalzo: Di Luca non è riuscito a staccare il vincitore in salita, Pellizotti sembra sempre mancare del centesimo che serve per fare il milione, mentre Ivan Basso non è ancora quello di prima della squalifica (e i maligni sosterranno che le accuse avevano un loro fondamento).
Mi è parso però che gli organizzatori abbiano in qualche maniera peccato in certe scelte che alla fine si sono rivelate poco premianti. Da una parte, il percorso è apparso meno duro che in altre circostanze; dall'altra, la scelta di limitare a due e mezza le tappe alpine (e per giunta nella prima settimana di corsa) ha penalizzato gli attaccanti, in primis lo stesso Di Luca, che ha poi dovuto aggrapparsi alle pur interessanti tappe appenniniche dell'ultima settimana (con il Block Haus - già fatale a Merckx negli anni settanta, che lì prese la paga da Josè Manuel Fuente - limitato di cinque, forse determinanti chilometri). Premiati invece i passisti, che hanno potuto beneficiare della lunga e spettacolare - non foss'altro che per il percorso - cronometro delle Cinque Terre.
L'impressione, però, è che il ciclismo manchi da tempo di protagonisti all'altezza, o comunque anche solo ingombranti. Il rientrante Armstrong, al quale su queste pagine Francesco non ha lesinato critiche "etiche", non è più lui, anche solo per motivi anagrafici; Sastre - vincitore dell'ultimo Tour de France - è apparso discontinuo; Basso ancora lontano da una condizione accettabile; Di Luca troppo ancorato a tattiche piratesche; Simoni è sul viale del tramonto; Cunego un'eterna promessa mai del tutto sbocciata; Leipheimer, Pellizotti e tutti gli altri incompleti. L'unico corridore che appare al momento all'altezza di una grande corsa a tappe sembra appunto Contador, maglia gialla nel 2007 e rosa nel 2008. Il Tour ci dirà qualcosa di più.

LA FERROVIA GENOVA CASELLA: UNA GLORIA GENOVESE IN DIFFICOLTA'




Scampata miracolosamente alla falcidia che dagli anni sessanta in avanti ha colpevolmente sottratto al nostro Paese migliaia di chilometri di linee ferroviarie, la Ferrovia Genova - Casella sta attraversando uno dei momenti più duri della sua storia ottantennale.
Una sfortunata sequenza di problemi al materiale rotabile, uniti alla difficoltà di effettuare le normali operazioni di manutenzione per un serio inconveniente strutturale all’officina, ha costretto l’amministrazione della ferrovia a sostituire il settanta per cento dei convogli feriali con autoservizi gestiti dall’Azienda Trasporti Provinciali.
Sono poche le elettromotrici disponibili al momento, in attesa della riparazione di alcune unità, ma i tempi per mezzi così “specializzati” sono piuttosto lunghi (sei mesi per le riparazioni più leggere, un paio d’anni per quelle più complesse) ed allora bisognerà attendere ancora qualche mese per una completa ripresa del servizio ferroviario. Così una delle linee più suggestive d’Italia, meta di appassionati di ogni latitudine, compagna di viaggio per pendolari e turisti, è ora costretta a ricorrere ad autoservizi sostitutivi per sette delle dieci coppie previste nei giorni feriali e a rendere più complicata la vita di quanti (escursionisti, scout, famiglie) sono soliti approfittare del trenino più amato dai genovesi nei giorni festivi.
Qualcosa dovrebbe mutare a breve invece negli assetti societari. L’attuale proprietario della ferrovia, la Regione Liguria, ha in progetto una gara europea per l’esercizio e la gestione della linea. Sarà interessante vedere come si muoveranno i nuovi attori per il rilancio di una struttura fondamentale per l’economia delle zone attraversate e della stessa Genova.
A giorni sarà indetta, inoltre, una gara per la fornitura di un nuovo elettrotreno articolato a due o tre casse che abbia caratteristiche adeguate alla linea (buone capacità arrampicatorie e poca aggressività nei confronti del binario) con un finanziamento di 4,4 milioni di euro. La formula ideale sarebbe quella del “tram-treno”, già diffusa in Europa e non ancora in Italia, proprio per la sua leggerezza e versatilità, e sarebbe auspicabile l’acquisto di più convogli di tale tipo per ammodernare l’intero servizio di questa tipica ferrovia.
Certo adesso spiace vedere questo gioiello di ingegneria ferroviaria in tale condizione di fatica. Ma il trenino, in ottant’anni di storia, ha già vissuto momenti difficili, e saprà superare anche questo, visto che le prospettive non mancano.

CON IL BICCHIERE IN MANO...

E’ diventato assai di moda, da oltre un decennio a questa parte, l’atteggiarsi ad intenditori di vino. Proliferano i corsi, ufficiali e non, per diventare degustatori, sommelier, assaggiatori, collaudatori, bevitori, enologi, cantinieri, e chissà quante altre tipologie, più o meno riconosciute, più o meno valide.
Affronteremo altrove questo argomento: per ora mi voglio limitare ad un richiamo più generale che riguarda il rapporto che noi italiani abbiamo con il vino. Un rapporto culturale, oso dire, perché questo mi ha insegnato la lettura di quel fuoriclasse (anche di lui parlerò con maggiore dettaglio) di Luigi Veronelli, il padre assoluto dell’enologia italiana nonché del giornalismo enogastronomico.
Il rapporto è tra chi beve ed il “suo” vino. Compri del buon vino, diceva Veronelli, se lo sai riconoscere buono.
Proprio su questo concetto richiamo la tua attenzione, amico che transiti al Casello. Non “vino costoso”, o super referenziato, o tre bicchieri e cinque damigiane nella guida Pirletti: ma quello che interagisce con te, e che tu sai riconoscere buono.
Evviva, allora, i produttori a te noti, come le tante cantine sociali che prosperano nel nostro nord ovest, ed in particolare subito alle spalle dell’Appennino Ligure. Vini del territorio, fatti con l’uva conferita dal vignaiolo, che sa bene come condurre i propri filari. E produzioni che, ad onta di prezzi alla portata di tutte le tasche, si fanno ben valere anche nei tanti concorsi che annualmente si tengono ovunque per il mondo.
Non mi posso dimenticare quella sera che, dopo una suggestiva salita zaino in spalla da Manarola, nelle Cinque Terre, ci trovammo in una splendida ed umbratile cantina di Volastra, dove venne spillato per noi – fresco premio alle nostre fatiche – un bicchiere del celebre Bianco di quelle terrazze famose in tutto il mondo.
Chissà quante di queste avventure hai vissuto tu, amico del Casello: perché non le racconti, qui, nei commenti?

QUANDO UN SITO ESPRIME PASSIONE

Questa volta è Fabrizio, che manda spesso i suoi treni sulle linee sorvegliate dal nostro Casello, a suggerirci di fare una tappa. Dove? Su un sito internet: www.parpaiun.org
Il mondo internet e' oggi un insieme cosi' vasto ed articolato che provare a descriverlo e' impresa ardua e presuntuosa. Un caso pero' vogliamo segnalarlo, perche' rappresenta un esempio particolare. Da lontano infatti, il sito di cui vogliamo parlarvi sembra come gli altri. Ma appena ci si avvicina si scopre che non e' cosi'.Parliamo del sito www.Parpaiun.org. Il sito parla del Comprensorio di Sangiacomo di Roburent. E gia' qui parte una particolarita'. Perche' il concetto di Comprensorio, di paesi uniti e sinergici e' stato ideato e portato avanti proprio da questo sito. Ma chi lo gestisce? Dietro c'e' un'Associazione culturale ma la storia e' più' complessa. Un piccolo gruppo di turisti (villeggianti come sono chiamati in queste zone) per passione decide di mettere su un sito. Non solo per presentare (meglio) le localita' in questione (non una ma tutte insieme, da qui il Comprensorio, superando quindi rivalita' da campanile), ma anche e soprattutto per costruire qualcosa di nuovo. Intanto un punto di incontro, virtuale, tra turisti, residenti, operatori turistici ed amministratori pubblici. Un luogo dove dibattere, scambiarsi idee, proporre. Per farlo il sito attiva un forum, ampio e partecipato. A questo gruppo iniziale si aggiungono cosi' via via residenti ed altri turisti. Senza ricavi ne' interessi diretti, nasce cosi' un grande collettore di idee ed uno strumento di comunicazione efficace e diretto. A chi frequenta queste zone, nel monregalese, viene anche chiesto se vuole lasciare la propria mail. Periodicamente Parpaiun (che e' l'antico soprannome degli abitanti di Sangiacomo di Roburent) invia agli iscritti (oggi oltre 1.300) tutte le novita', le iniziative, le manifestazioni in programma, chiedendo altresi' a tutte le realta' locali (quali ad esempio le pro loco che hanno una loro bacheca sul forum) di comunicare gli eventi. Un circolo virtuoso dove si crea turismo ed interesse, dove si mantiene in collegamento il turista con la localita' dove ha la seconda casa oppure dove ogni tanto va in vacanza. Ricchissimo, come abbiamo detto, il forum. Ogni giorno si hanno le condizioni del tempo (visibili anche con una webcam), utili tutto l'anno ma unite d'inverno alle condizioni di strade, piste ed impianti. Anche le scuole di sci partecipano al forum, dove si trovano persino suggerimenti su gite a piedi, in mountain bike, a cavallo o con le ciaspole. Ricette, storia, aneddoti e molto altro. E se non si trova qualcosa si puo' sempre chiedere, qualcuno con efficienza e cortesia rispondera' velocemente. Potere della passione, perche' questa e' la vera particolarita' del sito. Che non vi fara' apparire dopo un po' finestre dove si consigliano acquisti o altro. Un sito semplice, diretto, genuino. Animato dall'affetto che un gruppo di persone hanno per questi luoghi. Merce rara. Anche su internet.

ARMSTRONG: UN MOSTRO DEL CICLISMO?

Da Francesco, il nostro più assiduo notista, un sasso in piccionaia sulla carriera di Lance Armstrong, il corridore texano vincitore di sette Tour de France: un fuoriclasse o un furbastro?
Non mi sono mai stati simpatici gli americani, per mille ragioni: storiche, politiche, militari, cinematografiche, culturali, alimentari e sportive.
Proprio nell’ambito dello sport, ho trovato l’“americano tipo”, quello che è antipatico per forza.
Il suo nome è Lance Armstrong, un ragazzone texano, ciclista professionista dalla storia, personale e agonistica, infinita.
Ciclista di buon livello, ad un certo punto della sua vita si ammala di tumore, fa commuovere il mondo intero per la sua tenacia nel voler sconfiggere il cancro e risalire in bici.
Lance, che oggi ha 38 anni, ha però subito destato più d’un sospetto: torna in sella e diventa una “macchina” da guerra…anzi una bici a motore!
Molti colleghi lo accusano di assumere sostanze dopanti, mascherate dai farmaci che è obbligato a prendere per proseguire la terapia di prevenzione anticancro.
Vince Tour de France a ripetizione, 7 per la precisione…ma non riesce a vincere due rivali.
Il primo fu Marco Pantani: niente da fare, in salita il Pirata di Cesenatico aveva una marcia in più.
Nel 2000, al Tour va in scena la tappa più dura:il terribile Mont Ventoux.
Pantani era fuori classifica e al primo accenno di vera salita, via la bandana e su, sui pedali a “menare il ritmo”; l’odioso texano, circondato da compagni di squadra, cede dopo poche pedalate.
Armstrong, favorito dal lavoro dei suoi gregari, recupera il Pirata quasi all’arrivo ma, in volata, vince l’italiano.
Ai giornalisti “Turbo” Lance dichiarò: “l’ho fatto vincere, per non sprecare energie”; Pantani, che non ricevette alcun regalo, andò su tutte le furie e giurò vendetta (agonistica) all’americano; purtroppo, per le amare e tragiche vicende che conosciamo tutti, quella rivincita non fu mai disputata!
Il secondo nemico di Armstrong è Filippo Simeoni: l’italiano, vincitore 2008 del Campionato Italiano di ciclismo e detentore della maglia tricolore, non è un rivale in gara, ma un vero e proprio nemico del texano nella vita.
Il Campione Italiano, nel 2002 dichiarò d’aver comprato delle sostanze dopanti dal medico di Armstrong e, rivelò senza problemi, che lo stesso dottore gli disse che anche il texano faceva uso di sostanze dopanti.
Da quel momento Lance dichiarò una guerra spietata all’italiano, fatta di minacce in gruppo e ritorsioni sportive e non; il culmine fu una tappa del Tour del 2004, quando Simeoni andò in fuga e Armstrong mise tutta la sua squadra a “lavorare” per riprenderlo.
Raggiunto il corridore lombardo, lo minacciò dicendogli: “Tu non puoi! Comando io!”.
Da allora, ci furono mille altri screzi tra i due; alla fine del 2007 Lance si ritira, ma senza grosse sorprese decide di ritornare in sella a fine 2008; decide di partecipare a Giro d’Italia e Tour de France.
E’ di oggi la notizia che la squadra della maglia tricolore Filippo Simeoni è stata esclusa dal Giro, a pochi giorni dalla partenza, senza una motivazione precisa da parte degli Organizzatori.
Il corridore Italiano ha dichiarato:”Secondo voi, chi c’è dietro la mia esclusione? Ora basta, sono arrabbiato e deluso, restituirò la maglia tricolore”.
Ancora una volta, lo Zio Sam è venuto in Italia a comandare.

25 APRILE: UN PASSO INDIETRO

Non ho mai amato il venticinque aprile. Niente da fare, non è la mia festa. Per lo meno, non alle condizioni e con il significato che vogliono assegnargli gli organizzatori.
E quest’anno, se possibile, l’ho trovato peggiorato. Poiché la commissione d’esame per la patente di legittimo frequentatore degli agoni politici nazionali staziona stabilmente a sinistra, comandino oppure no, ecco che quest’anno la materia è stata ancora più tosta.
“Devi prendere posizione dura e pura su fatti consegnati alla storia, altro che un banalissimo mandare avanti il Paese!”, è stato il titolo del tema assegnato dalla commissione. E tutti testa a cuocere, penna o microfono in mano.
Insomma, mai come quest’anno – dopo tutti i proclami del recente passato – si è cercato a tutti i costi di far entrare la storia nella politica. Un vezzo marxista e gramsciano, nel quale da noi c’è chi indulge per non scomparire ed avere almeno un argomento (la sinistra comunista) e chi non capisce e ci casca (tutti gli altri). E mai come quest’anno, proprio quando sembrava che finalmente si stesse prendendo la strada opposta, è risuonato forte l’invito: “Ma la volete smettere di avere torto?”. Cento a zero. Rosso e nero. Tutto o niente. In questa logica binaria gli organizzatori di quella che un caro amico definisce “la festa dell’odio” vorrebbero la pacificazione. Tutti sotto la bandiera di chi aveva l’unica, vera, immarcescibile ragione. “Festa di tutti gli italiani sì, ma alle nostre condizioni”.
Grazie, ma preferisco di no, e mi tengo il mio torto e i miei dubbi.

Per chi desiderasse accostarsi alle riflessioni sull’antifascismo da posizioni originali e non omologate rispetto a quella che Renzo De Felice definiva “la vulgata resistenziale”, suggerisco a tutti un bellissimo libro, “L’antifascismo critico”, uscito nel 2005 e scritto con la profondità che ben gli conosciamo da Mario Bozzi Sentieri, un grande amico del Casello. Di seguito ne potete leggere una sintetica presentazione.
L'antifascismo ha perso, nel corso degli anni, il suo significato originario, politicamente ed etimologicamente corretto, di opposizione al fascismo.Esso è diventato una sorta di ideologia di Stato, tanto generica quanto onnicomprensiva, sotto la cui cappa si sono sviluppati i più diversi orientamenti politici.Questo tipo di approccio, estremamente formalistico, ha trasformato l'antifascismo in uno strumento di potere, comprimendo, nello stesso tempo, ogni serio dibattito sull'essenza dell'opzione democratica, sancita dalla Costituzione, e sui complessi rapporti storici con il Ventennio fascista, con la crisi dell'identità nazionale, con le lacerazioni provocate dalla guerra civile.Temi questi, nei confronti dei quali, per anni, è stata messa la sordina, in ossequio proprio all'ideologia fondante del formalismo antifascista.La crisi delle forze politiche e dei relativi riferimenti ideali che, sotto la cappa dell'antifascismo hanno costruito, per un cinquantennio, le loro rendite di posizione, ripone, pone nuovamente, il problema dell'approccio con l'antifascismo, con una sua corretta lettura storica e politica.In questo tipo di "rilettura", che stenta ancora a diventare consapevolezza diffusa, si sono tuttavia già impegnati, nel corso degli anni, ambienti diversi tra loro per provenienza culturale e politica.Da qui, dalle loro analisi, da un approccio critico nei confronti dell'antifascismo, occorre ripartire, al fine di riposizionare l'intera, complessa materia, ritrovando l'essenza dei vari approcci problematici al tema, la loro diversa, più ampia, declinazione.Senza negare l'antifascismo quale fu, ma anche superandolo, sulla base di una nuova consapevolezza storica e di una sua rilettura non formale".
Mario BOZZI SENTIERI,
L’antifascismo critico, pag. 102,
Edizioni Pantheon, Roma 2005, Euro 7,00.

QUALCOSA DA REFRESCIARE

Ci sono cascato ancora. Sono stato ad una riunione. Di quelle con al centro finanziamenti ed investimenti, managerialità e proattività, che esistono ancora, nonostante il brutto clima che li ha perseguitati negli ultimi mesi.
E’ vero, dovrei evitare. Lo so che maltrattano l’italiano, e poi ci resto male (il correttore di Word, ad esempio, mi sottolinea subito “proattività”, perché non esiste, ed è una parola orribile e senza senso). Però mi intriga ascoltare i relatori, ne imparo sempre di nuove. Prendo appunti sul loro idioma - “idioma”, con la “m” - più che sul resto, ma così facendo non perdo una battuta. Avessi seguito questa strada anche a scuola!
Questa volta la mia attenzione è stata catturata dai verbi. Eh sì, perché ormai siamo ben al di là dell’abuso del singolo termine anglo (a proposito: niente mi toglie dalla testa che il cicisbeo al microfono ne faccia un uso di tipo sacerdotale, della serie: “Io ho il rito e la scienza, e te la infondo, per quanto mai potrai capirmi”).
Ora siamo arrivati felicemente all’italianizzazione del verbo da utilizzare. Mi sono ormai rassegnato a sentire e leggere il verbo “supportare”, che - come ho già ricordato – in italiano non esiste. Ho però scoperto la possibilità di refresciare, da “to refresh”, cioè rinnovare, rinfrescare. “Stiamo refresciando la gamma dei servizi”, anche se troverei più pertinente refresciare il vocabolario.
Capita spesso che ci sia anche qualcosa da apgradare (da “to upgrade”, cioè portare ad un livello superiore, aggiornare con miglioramenti). “Abbiamo apgradato l’applicativo di sistema”, trillano festosi questi aspiranti Fratelli Lehmann ai quali – per contro – si daungrada il cervello di giorno in giorno.
Come ci siamo già detti, si può anche accettare l’utilizzo del termine alloglotto se aiuta a sintetizzare un concetto che altrimenti necessiterebbe di prolisse ed imprecise perifrasi: è il caso di “sport”, la cui mancanza ci obbligherebbe a parlare pressappoco di “attività per lo più fisica finalizzata generalmente alla competizione”, o chissà cos’altro.
Trovo però assurdo da un lato sostituire un termine italiano con uno d’importazione quando il risultato non cambi, o – ancor peggio – infilarsi in una circonlocuzione ridicola pur di fare uso di una di quelle formule che servono a far sentire appagato il fine dicitore. E’ il caso di “rendere compliant” (complaiant), che vorrebbe significare accordare, sintonizzare, mettere in fase. Mi piacerebbe, e molto, rendere complaiant lingua e cervello del protagonista di questa scemenza.
I verbi, sì. E poi qualche vocabolo: da “plas” (si scrive “plus”, è latino e quindi si pronuncia “plus”) alla “reason why”, cioè la ragion per cui. Con qualche effetto comico, come ad esempio l’utilizzo dell’aggettivo “basico”. In inglese “basic” vuol dire “di base”. In italiano no. Si contrappone, in chimica, ad acido. I ragionamenti fatti da qualche sbarbatello anelante la considerazione dei suoi superiori, per essere basici, sono un po’ troppo acidi.
Potrebbe essere il caso di refresciarli un po’.

GUSTAVO, ALBERTO E DEBBIE: I PIU' GRANDI.

Sta volgendo al termine, in questi tiepidi giorni di inizio primavera, una stagione sciistica particolarmente ricca, quest’anno, per gli appassionati, che hanno potuto beneficiare di un inverno che non ci ha fatto mancare niente: neve in abbondanza e più volte al rabbocco e freddo hanno allungato sensibilmente il periodo, riempiendo le piste alla faccia della crisi.
Poca gloria, invece, per i colori azzurri nelle competizioni agonistiche internazionali. Coppa del Mondo con qualche sporadico acuto, specie nel finale, Campionati Mondiali in sordina e l’impressione che la generazione attuale – quella dei Rocca, dei Blardone, delle Karbon - stia lasciando il passo a successori ancor meno brillanti.
Eppure, in un passato neppure troppo remoto, ci sono stati almeno due momenti nei quali l’Italia ha rappresentato il faro illuminante dello sci mondiale. Periodi in cui una squadra di grandi campioni esibiva anche la gemma più preziosa della collezione.
Con i nostri colori, fuoriclasse ne ho visti tre: Gustavo Thoeni, Alberto Tomba e Deborah Compagnoni.
Il primo era la classe allo stato puro: tra i pali una gazzella, elegante, imprevedibile, così lieve da imporre uno stile a tutti gli altri (il “passo spinta”) e da stagliarsi al di sopra di campioni tutti grinta ed aggressività (Pierino Gros) e raffinati specialisti (Ingemar Stenmark). Si può ben dire che l’industria dello sci nostrano gli debba un monumento: da lui in avanti gli sport della neve sono diventati fenomeni di massa, e griffes fino ad allora semisconosciute hanno fatto il giro del mondo.
Alberto Tomba, invece, ha rappresentato praticamente l’estremo opposto: potente, imprevedibile, grande agonista, guascone, fu definito da Mario Cotelli “l’unico sciatore quattro per quattro, a trazione integrale”. Tra i pali, quando già trionfavano i grandi eclettici (Girardelli, Zurbriggen) impose di nuovo la forza dello specialista. Era il signor “io so fare questo meglio di chiunque”, e lo dimostrò per un decennio.
Debbie è stata infine la sintesi al femminile dei due. Al contempo elegante e potente, determinata e dolce, si è contrapposta alle algide e inarrivabili snob della sua epoca, come Carole Merle (amica, amica, amica un…). E infatti, negli appuntamenti decisivi, le legnava sempre.
Oggi , purtroppo, come questi tre non se ne vedono. Bravini sì, e anche tanti, ma lasciano sempre l’impressione che manchi loro un centesimo per fare il milione. Fino al prossimo, imprevisto, imprevedibile fuoriclasse.

BUONA PASQUA!

La Pasqua, si sa, è la ricorrenza più autenticamente cristiana, la sintesi del mistero del Dio fattosi uomo che completa il percorso che porta alla vittoria della vita sulla morte.
E’ il centro della fede in Cristo, il motivo spirituale che accompagna il credente lungo l’esistenza, nella speranza della parola ultima che il bene ha sul male, la vita sulla morte, la luce - la luce che infatti è protagonista della Veglia Pasquale - sulle tenebre. Una speranza che non è l’attesa statisticamente probabile di un evento favorevole o l’inane vagheggiamento di un domani perfetto, ma l’operosa condizione che porta il cristiano ad intraprendere la costruzione della dimensione ultraterrena già qui, su questo mondo.
Fa un certo effetto, proprio in questi giorni di sofferenza per la coraggiosa gente d’Abruzzo, ripensare a questi misteriosi percorsi. La vita che vince la morte, il costruire da zero un oggi che è già domani e che cerca di recuperare il buono di quanto fatto fino a ieri, evitandone gli errori.
Dal Casello parte, per tutti, un treno di auguri di buona e serena Pasqua.

COME LASCIARE IL SEGNO...

Dieci anni di bidoni rossoblucerchiati raccontati da Francesco.
1999-2009 10 anni di alti e bassi per il calcio rossoblucerchiato, forse ora davvero tornato ai livelli che tutti noi speravamo; Milito, Cassano, Pazzini e Thiago Motta, Matteo Ferrari e Palombo…giocatori sicuramente che qualche anno fa ci saremmo sognati!
Ma quanti giocatori-bidoni sono passati sotto la Lanterna?
Andiamo indietro giusto di due lustri e iniziamo a ricordare i rossoblù Marquet, Bolla, Carfora e Pelliccia…ma non dimentichiamoci di Eddy Mengo!
Di quest’ultimo giocatore, un terzino destro, i giornali genovesi dissero che fu sottratto alla Juve!
Forse non specificarono che il “furto” d’astuzia in sede di calciomercato fu perpetrato non alla “Madama ruba scudetti” ma evidentemente alla Juve Stabia…date le scarse abilità del giovane ex fermano!
Per la Samp quell’anno arrivarono Sgrò, che non esplose mai, il pacco “English” Sharpe, e il migliore amico di tutti i baristi di Nervi e Sturla…Catè Lemes Tozze!
Poi negli anni a seguire fu la volta di Macaluso e l’eterna promessa Zè Francis.
Scorrendo gli almanacchi arriviamo a Martino Traversa (ricordato per un espulsione gratuita in un derby di B vinto dal Genoa, per un fallaccio d’esasperazione su Carparelli), Bedin, Jurcic, Bolano e una piccola citazione anche per Massimo Marazzina, arrivato per esplodere a suon di gol e finito nel mirino dei tifosi della Sud.
Il Genoa, però non fu da meno: arrivarono il “metronomo” Breda, il veloce Rimondini e il panzer Sobczack; a seguire negli anni il nuovo Buffon di Tunisia, Chockri El Ouer, la pantera del deserto Mhadebi e l’oggetto misterioso Marius Sava…tutti “pacchi”!
Peccato però che anche negli anni a venire, i rossoblù si riempirono dei vari Mario Cvitanovic, Scantaburlo e Piotr Matys; toccò poi anche al “portierone” olandese Oscar Moens e al nippo-svedese Ishizaki.
La Samp, però rispose con una promessa del calcio giovanile, Biagio Pagano, ragazzo dotatissimo ma discontinuo e acerbo;poi fu la volta di un ragazzo del Sol Levante, rimasto famoso più per il coro dedicatogli alla Sud che per le sue gesta calcistiche: Yanagisawa.
Gli ultimi da citare in casa blucerchiata sono più “invenzioni” giornalistiche che geni del pallone; secondo i “maestri” della carta stampata arrivarono a Genova dei veri fenomeni: Kutuzov, Artipoli, Padelli, Zamboni, Zivanovic, Miglionico, Bonanni e Gulan…nessuno di loro ha lasciato il segno!
Nota a parte per il figlio di un nuovo “amico” della nostra Italia: Al Saadi Gheddafi, figlio del leader libico, giunto in blucerchiato più per motivi economici che calcistici.Il Genoa, nella storia recente fece vestire la sua gloriosa casacca a svariati “fenomeni” pescati qui e là per l’Italia e il mondo ma, tutti, dopo una breve esperienza lasciarono Genova; ricordiamo, con poca malinconia, Grando, l’uomo GEA Mamede, Giuntoli, Biasi, Pedro Lopez, Zeytulaiev, Lanza e Wilson.

... PER TUTTO IL RESTO, C'E' MASTERCARD!

Un gavettone alla sindachessa...
Il protagonista di questo gesto (che qualcuno ha definito "di cattivo gusto": mah!) ci aveva già provato con il "gerundio ottimista", senza successo. Ma oggi siamo a ridosso del primo di aprile. Il GSS, grande protagonista di questi spazi, lo festeggia come una ricorrenza.


Il fotoservizio è del bravissimo reporter di Repubblica, al quale giornale è necessario il rimando per la serie completa. Ma un assaggino, cari amici del Casello, secondo me era doveroso....

LA SINTESI DEL PDL SI CHIAMA NAZIONALMODERNISMO

Con il congresso di scioglimento di AN, che confluisce nel PDL - del quale proprio in questo fine settimana si celebra l'assise di partenza - si chiude quella che mi verrebbe da definire - forzando un po' i concetti - la "fase tre" della Destra italiana, dove la "fase uno" è rappresentata dalle istanze nazionali e popolari post unitarie (sfociate poi nell'esperienza fascista), la "fase due" si è risolta nell'epopea a volte drammatica della sopravvivenza ad una guerra di annientamento e la "fase tre" ha visto il ritorno al protagonismo attivo nelle esperienze di governo locale e nazionale.
Cosa porta il disciolto partito alla nuova formazione dei moderati italiani? Quali sfide attendono la nuova formazione politica? Ce lo dice, con sintesi mirabile, Mario Bozzi Sentieri, che tanti frequentatori del Casello conoscono e apprezzano.
In un momento di passaggio così importante, come la nascita del PdL, chi ha a cuore una certa tradizione politica e culturale, non può non interrogarsi sul senso di questo passaggio e contemporaneamente sull’essenza del percorso fin qui compiuto. Le “fusioni a freddo” non ci appartengono, così come è lontana da noi certa cultura positivistica, più affine agli alambicchi di qualche laboratorio d’analisi che alle passioni che vengono da simboli e identità profonde. D’altra parte però l’identità non può essere considerata una pecetta da appiccicarsi addosso e sotto la quale nascondere strappi e smagliature, ma è verifica continua, è dubbio e sintesi di idee e di esperienze, maturate nel corso del tempo.
E’ capacità di lettura sincrona di un grande patrimonio culturale e politico, non privo di contraddizioni, ma proprio per questo ricco di elementi problematici e creativi.
E’ l’elemento “problematico” e dunque creativo di un’identità ; vissuta non formalisticamente, la quale non si accontenta di autorappresentarsi, ma cerca sintonie e convergenze reali, partendo dalla consapevolezza che un’epoca è tramontata e che il tempo nuovo che ci è di fronte richiede nuove capacità sintetiche e soluzioni non cristallizzate.
La mozione congressuale di An va – in fondo – proprio in questa direzione. L’avere sottolineato, nella parte del documento dedicata alla “Via italiana alla modernità”, “la fine del Novecento, intesa come fallimento del progetto massificante e relativista, prima di marca marxista, poi giacobino-economicista”, ed il richiamo ad alcune figure emblematiche della cultura nazionale, che hanno incarnato il superamento dei vecchi schematismi ideologici tipici del Novecento (pensiamo – in particolare – al padre del sindacalismo nazionale Filippo Corridoni e al creatore del Futurismo F.T. Marinetti, a Mosca e a Prezzolini) sono un invito ad immaginare nuovi percorsi sintetici, in grado di coniugare, nel concreto, nella politica del fare, il senso dell’identità e le nuove domande di modernizzazione culturale, sociale e politica.
E’ il “nazionalmodernismo”, con cui il PdL sta già misurando il proprio impegno modernizzatore nell’azione di governo, nazionale e locale, nell’approccio alla crisi economica, nel ripensamento del percorso da intraprendere.
Non è dunque solo nella capacità di “intercettare” meglio le istanze della gente che il centrodestra può vincere e convincere. Se fosse solo capacità di risposta alle istanze della gente, è evidente che il centrodestra sarebbe esposto ai rischi della “volatilità delle opinioni” e ad un possibile “riflusso” verso sinistra.
Il “nazionalmodernismo”, evocato dalla mozione congressuale di An, è l’invito a dare spessore all’azione politica e a rispondere alle domande profonde della società, che vuole essere partecipe, nel senso di sentirsi parte, di una nuova cultura civica, di una rinnovata identità nazionale, di un immaginario condiviso. Al di là degli organigrammi e delle dialettiche interne, qui sta la grande sfida e la grande opportunità data al PdL e a quanti concorreranno alla sua nascita.Al di là degli organigrammi e delle dialettiche interne, qui sta la grande sfida e la grande opportunità data al PdL e a quanti concorreranno alla sua nascita.
Mario Bozzi Sentieri

VIOLAZIONE DI DOMICILIO


L'ultima fatica di Bruno Vallepiano, il Sindaco-Scrittore



Accade spesso che lo scrittore sia “anche” qualcos’altro. Scrittore e giornalista, Scrittore e medico, scrittore e avvocato, binomi non poi infrequenti. Il Sindaco scrittore, però, è abbastanza raro. E noi, al Casello, che pure scrittori ne abbiamo già visti diversi, ne conosciamo uno.
Stiamo parlando di Bruno Vallepiano, primo cittadino di Roburent e insieme uomo di lettere. Vallepiano ha di recente pubblicato per i tipi della Fratelli Frilli Editrice “Violazione di Domicilio”, il suo primo giallo (ma in realtà l’idea risale agli anni ottanta) dopo diverse pubblicazioni tra saggi, guide di montagna, racconti. La storia si svolge nei mesi tra dicembre e gennaio, in pieno inverno, nel gelido paesaggio delle vallate monregalesi: protagonista è l‘umbratile Mauro Bignami, professore di filosofia, appassionato di storia e di montagna, che si lega ad un’insolita amicizia con Mino Bertinot, capitano dei carabinieri di Mondovì. I due, unendo forze e menti, risolveranno il rebus della morte di un vecchio valligiano.
Del libro, al di là del piacevole scorrere della lettura e del farsi conquistare dai personaggi e dalle vicende, resta un’ulteriore impressione positiva: la grinta con la quale l’autore promuove a sfondo letterario (e con pieno merito!) le sue terre, le sue valli, quelle Alpi Marittime così ricche di suggestioni e di storia che noi tutti, ma liguri e piemontesi in modo speciale, amiamo per quello che sono e rappresentano.
Vallepiano, penna divertente e divertita, ci sta prendendo gusto. Nel 2009 è annunciata la sua prossima fatica, ancora un “noir”, che certamente transiterà a sua volta davanti al Casello.


E BRAVO DIRETTORE!

Mi succede spesso, la domenica, di guardare la rubrica “Benjamin”, la bella vetrina libraria - ve la caldeggio - tenuta in coda al TG1 delle 13.30 dal suo Direttore, Gianni Riotta, giornalista che ammiro molto e che trovo di raro equilibrio in un contesto invece urlato e fazioso.
E’ accaduto in più di un’occasione che i “consigli per gli acquisti” forniti in trasmissione mi siano stati utili tra gli scaffali delle librerie.
Domenica 15 marzo, però, è avvenuto un fatto che ha secondo me dell’eccezionale, e che rafforza ancor più la stima nei confronti di questo eccellente professionista. Uscendo dal clichè mieloso del “tutto bello, tutto utile”, Riotta ha avuto il santo coraggio di compilare una sia pur breve classifica di libri da leggere e libri da NON leggere, rompendo una consuetudine buonista tanto in voga e che fa molto “tv pubblica”.
Ma non è tutto. Ho apprezzato ancor di più che fra gli autori bocciati ci siano firme care agli intellettuali e addirittura qualche intoccabile, come Luciano Canfora e Alberto Asor Rosa. Ha avuto coraggio, il buon Direttore, perché ha toccato due fra i più grandi tromboni del nostro panorama culturale, gendarmi delle verità ufficiali, abituati a parlare “ex cathedra” e a mal tollerare il contraddittorio. Due esponenti di primo piano di quella cultura sinistrorsa dominante che non soltanto ha informato di sé tutto il panorama storiografico e letterario del Paese, ma ha lavorato sodo per emarginare quanti facessero cultura da posizioni politiche diverse.
Tanto per esemplificare: oggi chi attacca Giampaolo Pansa per i suoi libri tende a coprirsi di ridicolo. Canfora è uno di questi. Detto tutto.
Spero ovviamente che non succeda, ma non mi stupirei se nei confronti di Gianni Riotta partissero piccole/grandi azioni di ostracismo, come sempre accade verso quanti dimostrano di non accettare i dettami del dogma (ma sarebbe meglio parlare di regime) culturale dominante, del quale i due autori sopra citati fanno parte a pieno titolo. Nel caso, caro Direttore, non si crucci: la gente – come Lei sa bene - non sta con lorsignori, così come ha sempre preferito Totò alla “Corazzata Potemkin”.

AIUTO, LA SHERLOCKIANA CHIUDE!

Da Simone, un grande amico del Casello, riceviamo e con piacere rilanciamo questo appello salvacultura. Amici, diamoci dentro!
C'è una libreria a Milano chiamata "La Sherlockiana - Libreria del Giallo", gestita da una signora mitica (la Tecla). Questo posto è stato per anni un punto di riferimento a Milano per quello che riguarda la letteratura di genere. Ogni settimana uno o più incontri con scrittori. Da Carlo Lucarelli ad Andrea Pinketts, passando da Giorgio Faletti, Fois, Ben Pastor, Sandrone Dazieri e così via, in un ambiente molto familiare. Una piccola grande libreria, davvero un piccolo gioiello.
Più che c'è, dovrei dire c'era. Ci sono state un paio di crisi dovute ad un affitto spaventoso da pagare al comune di Milano, il fatto che la gente compra i libri ai grandi magazzini e così via. Una volta si è riusciti a salvarla, è stato fatto un appello e poi è stata tirata su un'asta in cui ogni scrittore ha messo un qualcosa di suo in vendita ed i proventi sono andati alla libreria. C'è chi si è portato a casa la penna di un tal scrittore, chi altri la prima bozza di romanzi di successo.
Ora la crisi è definitiva, la Sherlockiana chiude il 31 marzo. Punto e basta, senza possibilità di appello. Gli affezionati ci rimangono molto male, per gli altri è la vita che scorre e tutto fa parte degli eventi.
Io con questa mail non voglio chiedervi sforzi sovrumani o di fare cose che non fareste normalmente. Anzi no, una cosa che non fareste normalmente ve la chiedo.
Se comprate libri gialli, se vi piacciono i noir (oppure l'horror, o la fantascienza), se conoscete qualcuno a cui regalarne uno, vi chiedo di considerare, per una volta e solo per questa volta, di dare un'occhiata a questo link: http://www.comprovendolibri.it/negozi_vedi.asp?id=47 dove potrete trovare tutti i libri ancora invenduti tutti scontati al 50%. La spedizione è 5 euro, potete risparmiarla se dite di tenerli da parte perchè il 5 aprile vado al "commiato" e posso ritirarli io.
Se invece non comprate libri gialli e non vi piace il genere, non vi chiedo certo di comprare, come voi non chiedete a me di mangiare carote o piselli visto che li detesto.

INUTILE, HA GIA' VINTO LUI

“Questo ha già vinto!”. Lo penso – mi si autoesclama in testa tutte le volte che prendo l’aereo – di Osama Bin Laden, e della sua strategia del terrore. Quello raffinato, che fa macerare l’avversario e lo fa spegnere lentamente nelle sue paure, non quello da macellaio che tanti lutti ha già provocato.
La sua anticrociata contro l’Occidente (Giudaico e Cristiano, e me ne vanto, con buona pace del verminaio laicista, il migliore alleato di chi ci vuole male) non ha nessuna possibilità di successo a suon di bombe. Ne ha invece molte – anzi, lo ripeto, ha già vinto – sul piano psicologico. Tutte le volte che devo prendere un aereo – e per fortuna parliamo di sei/otto occasioni all’anno, io continuo a preferire il treno – sono costretto a sottopormi al supplizio del Metal Detector.
Via giacche, orologi, financo la cintura, con risvolti grotteschi al di là del controllo, del tipo: panzoni affannati che ansimano alla ricerca dei passanti della braga a mezz’asta. Il tutto dopo una coda interminabile persino all’aeroporto di Genova, che non rifulge nel panorama internazionale per l’intensità dell’orario.
E penso che ha vinto lui, perché la paura della quale ha disseminato le nostre strade ha un peso economico (oltre che psicologico) che ci distruggerà.
Minuti che tendono ad ore di attesa, sottratte al lavoro e al divertimento; addetti alla sorveglianza costosi ma mai sufficientemente numerosi (e quindi minuti che tendono ad ore, continua continua); ritardi nell’imbarco che diventano ritardi alla partenza, che si trasformano in ritardi all’arrivo, che si tramutano in ritardi alla nuova partenza (oggi due aerei su due di quelli che ho preso erano in ritardo per “ritardato arrivo dell’aeromobile”). Il tutto, se qualcuno avesse voglia e tempo di fare due conti, ci costa una fortuna. E allora? C’è poco da fare: ha vinto lui.

Al casello, qualche mese dopo.

Amici del Casello, è venuto il momento per dare una piccola rinfrescata al nostro blog. Niente di particolarmente impegnativo, almeno per ora. Solo un cambio della guardia, in copertina, tra un bel casello che si trova lungo un moncone di linea non più utilizzato stabilmente, ed uno che fa bella mostra di sè lungo la pittoresca tratta fra Mondovì e Cuneo.
Ne approfitto per un piccolo commento. Siamo - è iniziato marzo - a oltre 2.700 contatti. Da fine ottobre, fanno settecento al mese, più o meno. Davvero tanti, e più di ogni attesa, anche in considerazione che a tutt'oggi il blog gira solo tra gli amici, molti dei quali hanno contribuito in modo originale.
La prima cosa che mi viene da dire è: grazie! Continuiamo così. La palestra delle idee mi sembra funzioni, teniamo accesa la fiamma.
La seconda è: dateci dentro! Continuate a mandare i vostri commenti, i vostri contributi, le vostre osservazioni come avete fatto finora. Aggiungo: creiamo dibattito anche sugli argomenti posti sul tappeto. So che molti concordano con quanto leggono, ma a maggior ragione è importante farsi sentire (e leggere).
Un caro saluto.
G.

VELTRONI, O IL TRAMONTO DELL'UTOPIA

Le dimissioni di Walter Veltroni da segretario del PD, susseguenti all’ennesima batosta elettorale del suo partito – questa volta, non va trascurato, sotto la specie di centro sinistra al completo, costituiscono senza dubbio l’evento politico più importante di questo scorcio iniziale del 2009.
La precoce uscita di scena dell’uomo al quale, più d’ogni altro, i progressisti nostrani guardavano come al traghettatore verso un polo riformista moderno, capace di scrostarsi di dosso il maleodorante pattume comunista e di dialogare con il ceto medio e tutte le componenti migliori del Paese apre – per quel popolo, che non è il nostro – una fase di ancor più profondo disorientamento.
Si è svampato il fuoriclasse, che è un po’ come dire: si è dimesso Valentino Rossi. Chi arriva dopo, a partire dal neo segretario “pro tempore” Dario Franceschini, è – salvo prova del contrario, ma ne dubitiamo – una “diminutio”. E questo non sono certo io a dirlo: è il pensiero diffuso della gente d’area riformista e della stessa base del PD, come l'assise che ha nominato il nuovo leader ha ampiamente dimostrato tra assenze, veleni, richiesta di nuove primarie (cioè: interpellate la base, non chiudiamola con una camarilla di potere), distinguo e posizioni polemiche più o meno marcate. La stessa gente che guardava al Lombricone già quando l’imbarazzo per avere un leader cialtronesco come il Mortadella montava a mille.
A questo punto s’impongono due riflessioni. La prima: con Uòlter va con tutta probabilità in archivio, almeno per ora, quel tentativo di sintesi tra utopia post sessantottina e cattolicesimo sociale che avrebbe dovuto unire le forze riformiste. Un’ipotesi, tra l’altro, che aveva già da sola pochissime possibilità di riuscita: l’insofferenza tra le due principali componenti del nuovo soggetto andava appalesandosi con sempre maggiore virulenza, giacchè – gratta gratta – gli ex PCI-PDS-DS sono forse ex nei confronti della peggiore delle ideologie possibili, ma non lo sono nei confronti del metodo. Da qui l’interpretazione, tutta post comunista, del PD come prosecuzione dell’esperienza storica della sinistra risvegliatasi all’indomani della caduta del Muro di Berlino. Un’interpretazione vissuta con disagio in casa ex democristiana.
La seconda: è verosimile che ci si stia avvicinando alla resa dei conti fra le due macroaree di quel “melting pot” politico rappresentato dal PD. Da un lato l’ala più legata alla tradizione, anche recente (cioè ulivista), che vede nell’unione di tutte le forze della sinistra l’unica strategia per cacciare l’usurpatore del trono. E pazienza se poi un simile cartello non riuscisse a governare, stretto fra Che Guevara e Matteo Colaninno. Un film, pessimo, già visto almeno due volte. Dall’altro tutti quelli che amano stare seduti sulla punta sinistra del centro, a loro volta scissi in neo yuppies (antipatici, arroganti, presuntuosi, tutti slogan e sostenibilità ma con un forte odore di zucca vuota, l’archetipo è il sempre sgradevole Enrico Letta) e calderoniani (vale a dire quelli che amano il contenitore più che il contenuto e che rimpiangono i cari, vecchi partiti-mamma, DC e PCI).
Un primo vincitore c’è già: Dario Franceschini. Il quale, per la serie “Cominciamo bene”, ha subito mandato in soffitta il buonismo veltroniano e si è subito accodato a Di Pietro scagliando livorose accuse di illegittimità e di anticostituzionalità al Governo (patetico il giuramento sulla Costituzione, in nome di un qualcosa – l’antifascismo – che invece andrebbe mandato in soffitta per sempre, con le logiche di divisione che si trascina dietro), che – va ribadito – è per questi poveretti un nemico, non un avversario. Una mossa banale ma di una certa efficacia, visto che essere “contro” per lo meno compatta lo schieramento di fronte al rivale. Dopodiché, in termini elettorali, tutto ciò non porta un sol voto in più sottratto alla controparte, ma che importa?
Credo non si possa ignorare, tuttavia, un aspetto molto importante della vicenda: il ruolo del Centro destra. A differenza di ogni altro ciclo politico precedente, dopo essere tornato alla guida dell’Italia lo schieramento guidato da Silvio Berlusconi ha vinto – anzi, ha stravinto – tutte le controprove amministrative successive. Accelerando, di fatto, la resa dei conti fra i suoi avversari. E questo perché, con tutta evidenza, la gente non vuole sempre, per forza, malignamente, punire chi governa. Punisce chi governa male, e premia chi governa bene. Trema, gerundio iettatore: il prossimo sei tu.