Esattamente quarant'anni fa, a inizio
1980, accadde un evento che divenne un vero e proprio fenomeno
imprenditoriale e trasformò per sempre la cultura modellistica
italiana, in particolare quella fermodellistica, che ne rappresenta
per molti versi l'espressione più compiuta. La casa austriaca Roco
mise infatti in commercio il modello della locomotiva elettrica
italiana E 626, una delle più famose del parco FS, Costruita in 448
esemplari – un'enormità - fra il 1927 e il 1939, in servizio fino
agli anni Novanta, fu la prima locomotiva alimentata con il sistema a
corrente continua 3,000 volt, con il quale, da quel momento, vennero
attrezzate le nuove elettrificazioni nazionali, diventando lo
standard italiano a tutt'oggi imperante (linee AV a parte).

Alla fine degli anni settanta, su
pressione della famosa rivista “Italmodel” e del suo editore,
Enrico Milan, uno dei “profeti” del fermodellismo italiano,
l'importatore della casa salisburghese Roco, Faustino Faustini
(Gieffecì), ottenne l'attenzione del produttore. Non si trattava di
un'impresa semplice: gli appassionati italiani erano (e sono) un
mercato numericamente meno appetibile di altre nazioni europee, e il
raggiungimento di una massa critica di acquirenti tale da rendere
commercialmente appetibile l'operazione non appariva così scontato.
All'epoca la Roco, azienda giovane ed
in crescita, si andava affermando nel mercato fermodellistico
dell'area germanofona a fianco di alcuni colossi storici, come
Marklin e Fleischmann, per le sue riproduzioni dettagliate, in
perfetta scala, e dal funzionamento ottimale, a prezzi oggettivamente
accessibili. Il tutto, però, a patto di poter “stampare” un
numero adeguato di pezzi per ciascun modello.
Appena in Italia circolò la voce di un
possibile interessamento di Roco per la E 626 l'ambiente
fermodellistico italiano entrò in fibrillazione: fioccarono
iniziative, giunsero prenotazioni da tutta Italia, si scrissero
articoli e si indissero riunioni e conferenze. Stupita da tanto
entusiasmo, Roco decise di mettere in produzione il modello, facendo
sapere che avrebbe organizzato una spedizione fotografica in Italia
per ritrarre dal vivo questa peraltro bellissima locomotiva.
La gestazione durò più di un anno, ma
alla fine il modello uscì, e fu un successo ancora superiore alle
aspettative. Bello, curato, in molte versioni diverse, con varianti
di coloritura a seconda dell'epoca storica, piacque a tutti, e non
solo in Italia. Ne vennero vendute decine di migliaia di copie:
all'epoca il casellante era un ragazzino, e con un po' di sacrificio
ne acquistò un esemplare, che troneggia ancora nel deposito
locomotive del plastico, ma ci fu chi ne acquistò due, tre, anche
cinque e più modelli diversi, in tutte le varianti in cui fu
prodotto per ambientazione, livrea e tipo di serie costruttiva.
Un boom senza precedenti e inatteso
nelle dimensioni, ma anche un'autentica rivoluzione. Da quel momento,
travolte dal successo altrui, le case nazionali dovettero adattarsi
ai nuovi standard qualitativi. Rivarossi rivide progressivamente il
proprio catalogo, e iniziò a riprodurre modelli in scala esatta
senza rinunciare alla sua riconosciuta qualità, mentre LIMA saltò
in breve tempo dalla dimensione giocattolesca – che ne aveva
condizionato in qualche modo la fama – a quella modellistica,
puntando sia sulla sua robusta e affidabilissima meccanica (il motore
tipo “G” è ancora oggi considerato uno dei migliori mai
prodotti), sia soprattutto sui mezzi più recenti in opera sulla rete
nazionale, perchè – e fu un'intelligente scelta di marketing –
potevano attrarre sia il modellista provetto, sia il principiante e
il giovanissimo, trattandosi di mezzi visibili quotidianamente sui
binari.
Da allora il mondo fermodellistico è
cambiato: gran parte dei mezzi italiani sono stati riprodotti almeno
una volta (un tempo la scelta era estremamente limitata), nuove case
si sono affacciate alla ribalta, le produzioni sono state in gran
parte esternalizzate in Estremo Oriente, modelli dalla meccanica
sempre più sofisticata – si pensi solo alla digitalizzazione delle
funzioni – permettono movimenti inimmaginabili solo pochi anni fa,
mentre il grado di dettaglio è sceso a livelli quasi maniacali, e
non necessariamente è un bene, perchè – a meno che non si scelga
di lasciare i modelli in bacheca – ogni piccolo dettaglio
aggiuntivo va a scapito della robustezza del modello, che sul
plastico deve girare e farlo possibilmente a lungo.
Ma niente di tutto ciò sarebbe stato
possibile, almeno in Italia, senza un “sensibilizzatore italiano”,
Enrico Milan – che per un beffardo scherzo del destino morì
improvvisamente pochi mesi prima dell'uscita del modello che aveva
tanto sognato -, senza una casa austriaca, Roco, e senza il suo
modello di punta, la E 626, il cui quarantesimo compleanno
festeggiamo con una serie di immagini tratte dalla rete.