POMIGLIANO: UNA PARTITA DA VINCERE

Mille e mille gli argomenti, cari amici del Casello, che da tempo – complice un intoppo informatico imprevisto – mancate della vostra ferrovia virtuale per far circolare idee e faccende.
Ce ne sarebbe, davvero: il federalismo, i Mondiali, la sempre più involuta conduzione della sindachessa medusa, treni e bus, la marea nera, le intercettazioni…
Ci sarà modo, spero. Ma la prima cosa che porto alla vostra riflessione è la situazione di Pomigliano d’Arco ed il rifiuto dogmatico, ideologico, della CGIL di firmare l’accordo con la Fiat.
Un accordo che chiede impegno ai lavoratori, e qualche rinuncia. Ma che in sostanza dice: se la facciamo così, noi portiamo qui dalla Polonia (dalla Polonia!) la linea di produzione della Fiat Panda. Non c’è un’alternativa: se la proposta della Fiat non passa, lo stabilimento chiude. Punto.
La CGIL dice di no, unica tra i sindacati. E il sospetto che dietro ci sia qualcosa di diverso dalle semplici ragioni dei lavoratori è forte.
Proviamo però a spingerci al di là delle impressioni, con alcune note analitiche. La prima. La CGIL – è evidente – oggi più che mai è asservita ad una logica di potere che contrappone due schieramenti. I suoi no, un tempo classisti e ideologizzati, sono oggi spesso frutto di logiche politiche che cercano un risultato opportuno, quando non opportunistico. Il fatto di essere l’unico sindacato, a parte qualche sigla autonoma, a contrapporsi sempre a Berlusconi e al Centro Destra pesa, in termini di tessere, perché permette di cavalcare un malcontento che sempre è esistito e sempre esisterà, brandendo però la spada del purismo e del “io-non-mi-vendo”.
Dire di no a Pomigliano, farne fallire le logiche, contribuisce ad eliminare un pericoloso successo governativo dall’agenda politica e sindacale, perché è altrettanto certo che i ministri dell’attuale compagine se ne farebbero vanto.
La seconda. La CGIL – su un piano più strettamente sindacale – teme, non senza fondatezza, che la ricetta Pomigliano possa estendersi a tanti altri plessi industriali della Penisola. E’ vero che svecchierebbe il repertorio da (pessimi, trovo incredibile che ci sia chi sostiene il contrario) anni settanta dell’industrializzazione italiana, ma probabilmente allenterebbe le cautele sindacali di cui i lavoratori hanno fin troppo abbondantemente fruito nel dopoguerra. Questo, la componente sindacale dei metalmeccanici CGIL – la base operaista e movimentista che tiene le redini della confederazione – non può permetterlo.
E così, spazio al “tanto peggio, tanto meglio”. Con il concreto rischio che Pomigliano chiuda. E che i fautori del principio “O tutto, o niente” – pochi, direbbe Montanelli, inutili e dissennati – tengano in ostaggio una delle poche fabbriche della Campania e una delle poche produzioni che coraggiosamente un’impresa italiana sta cercando di mantenere o addirittura di riportare da noi.

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