CASCINA ROSSA, PROFUMI DI LANGA


La passione e la curiosità per il mondo del vino mi conducono spesso per mano, ad assaggiare senza intenti scientifici e, quindi, da dilettante (nel senso migliore e letterale del termine: colui che si diletta) etichette e provenienze che non conosco. Lo scopo, ben poco nascosto, è quello di cercare e trovare quelle perle – oggi non così rare, ma sempre preziose – che si nascondono nelle tante ostriche della grande tradizione italiana.
Racconto oggi di due vini che hanno fatto suonare le campane a festa, colpendo l’immaginazione quasi quanto il palato e regalando momenti di poesia ai cinque sensi (oh, yes! Tutti e cinque, tatto e udito inclusi).
Parlo dei due vini che ho avuto il piacere e l’onore di degustare prodotti dall’Azienda “Cascina Rossa” di Valle Talloria (CN), famiglia Veglio: Nebbiolo d’Alba e Dolcetto di Diano d’Alba “Sorì Utinot”.
Entrambi raccontano, più e meglio di tanti discorsi (e quindi soprattutto dei miei), della passione storica e familiare per il proprio lavoro e la propria terra, il rispetto del connubio fra tradizione ed innovazione, il gusto per le cose belle e fatte per durare.
Per non smentire quanto appena solennemente proclamato eviterò di addentrarmi nelle descrizioni tecniche che fanno colto e che piacciono a chi ama il “vino parlato” anche più del “vino bevuto” (n.d.C., nota del Casellante: è un problema diffuso, caro amico del Casello: pensa – ad esempio – al rapporto tra “sesso parlato” e “sesso praticato”…).
E parto dal Nebbiolo, un vino di nobile progenie e di gran stoffa, austero ma rotondo, quasi impegnato a smentire chi ne considera le uve come mere fornitrici di Barolo e Barbaresco.
Di colore rosso rubino intenso, ciò che più colpisce è l’armonia sviluppata in tutte le dimensioni olfattive e gustative, un equilibrio che ne fa il commensale ideale per paste fatte in casa (che so, i mitici Tajarin o gli agnolotti) e le carni grigliate.
Eccellente il Nebbiolo, eccellente anche il cru “Sorì Utinot”, Dolcetto di Diano d’Alba che sa essere al contempo gioviale e vigoroso, quasi a voler sintetizzare la dialettica in voga da qualche anno sull’essenza di questo vitigno così tipicamente piemontese da vantare addirittura dodici DOC diverse (più un paio di DOCG). C’è chi, tra le due fazioni, lo vuole fresco e beverino, come da tradizione, e teme che l’eccesso di alcolicità e il passaggio in legno ne travisino il significato tradizionale, rendendolo anonimo; e chi – al contrario – vede nell’affinamento e nella maturazione un contributo all’esaltazione di caratteristiche da sempre ben presenti ma in precedenza lasciate soltanto all’immaginazione.
“Sorì Utinot”, a parer mio, li mette d’accordo tutti. Dal colore rosso scuro con sfumature dal fucsia all'indaco, al naso evoca i prati di maggio, in una sinfonia che ricorda alcuni Dolcetto monferrini (come certi squisiti ovadesi) più che langaroli, e al gusto riempie il palato con la gioiosa fragranza dei piccoli e morbidi frutti rossi (dalla ciliegia alla mora) che sembra richiamare.
Davvero davvero davvero, amico del Casello: sorprese piacevoli. Un sorso, e le rudezze della vita ordinaria, per un lungo e caldo momento, sono fuori dal radar.

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