IL MURO DI BERLINO, VENT'ANNI FA

Io me lo ricordo bene, il Muro. Quello che è crollato, implodendo nelle sue contraddizioni, una notte di novembre di venti anni fa. Quello che divideva due universi, due culture, due modi di recitare la commedia della vita, due poli magnetici che – spezzando la calamita – si ritrovano in ciascun moncone, il polo positivo e quello negativo.
Io me lo ricordo, quel Muro, perché ero e sono tra quelli che, nel loro raffronto, hanno schifato gli anni settanta ed amato gli anni ottanta: tutto più bello, più colorato, più saporito, dalla moda alla musica, dal cinema all’amore, giù giù fino al mangiare ed al bere.
Quel muro che crollava a Berlino correva anche tra di noi, e divideva in modo non sanabile chi stava di qua da chi stava di là. Chi sapeva che di qua c’era il migliore dei mondi possibili (con tutte le sue imperfezioni), che si era liberi, ci si poteva esprimere sempre e su tutto, e chi ha sempre pensato che avessero ragione loro, dall’altra parte, perché l’idea era quella giusta, e ad essere sbagliata era l’applicazione. Illusioni!
Io me lo ricordo bene, il Muro. Perché ero tra quelli che, fin da subito, intuivano che dietro il pacifismo e la voglia di disarmo unilaterale di metà anni Ottanta c’erano i rubli della disperazione di chi era perfettamente consapevole che il “Sol dell’Avvenire” stava per tramontare. Non c’erano i mezzi per fronteggiare l’Occidente sul piano della tecnologia, mentre i danni procurati dal Papa polacco (non per altro, bersaglio di un attentato) aprivano un fronte interno – quello delle coscienze – non meno pericoloso di quello esterno, quello degli strumenti.
Io me lo ricordo bene, il Muro. E soprattutto non dimentico gli “utili idioti” che – chissà quanto intenzionali – sottolineavano i nostri difetti per distogliere dalle tragedie dell’altra parte. Nelle canzoni, ad esempio, dove Antonello Venditti se la prendeva con Sting perché quest’ultimo si chiedeva se “i russi amano anche loro i bambini”, o dove Luca Barbarossa, con (sua) ironia, osservava “quanto siamo bravi al di qua del Muro” (sottinteso: noi, col nostro trave nell’occhio, che cerchiamo la pagliuzza in quello degli altri.
Io me lo ricordo bene, il Muro. Perché il comunismo non esiste più, e per fortuna anche comunisti ne sono rimasti pochi. Ma il loro metodo è duro a morire, anche oggi.

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