I trasporti in Italia

Lo confesso, sono un appassionato di trasporti. Lo sono fin da piccolo, quando i treni e i tram, ma anche autobus e autocarri, avevano un ruolo talmente preminente tra i miei giochi da conservarsi in larga misura intatti fino ad oggi, e troneggiare (i treni) sul plastico ferroviario sul quale armeggio ogni volta che ne ho la possibilità.
E’ mia precisa convinzione che i trasporti, le comunicazioni in generale – con l’ordine pubblico, la sanità e l’istruzione – siano il settore chiave della vita di una comunità. Sono di conseguenza del parere che uno dei principali compiti di un ente territoriale sia quello di occuparsi dei trasporti, perché strumento essenziale del benessere degli appartenenti alla comunità territoriale sottoposta alla sua sovranità.
Tuttavia da noi, a differenza che in altri paesi, la politica dei trasporti non solo è fondamentalmente assente da sempre, ma ha consentito la creazione di una riserva assoluta d’intervento a favore di alcuni determinati mezzi di trasporto a scapito di altri.
Uno dei principali fattori di funzionamento delle comunicazioni all’interno di un territorio è che la specializzazione dei traffici sia ben delimitata, e che ciascuno modo si presenti forte sul suo terreno. In Italia non è così: si fa quasi tutto su gomma, anche quando sarebbe antieconomico (ad esempio perché si fa pressione – indebita – in modo che non lo risulti), dannoso dal punto di vista ambientale, assurdo nella sua logica.
Poiché ho sempre avuto l’impressione che nel settore finisca in ogni caso per vincere la cattiva politica su quella buona, credo che possa essere opportuno ricordare nelle prossime settimane qualche interessante episodio, giusto per rendersi conto di come stiano esattamente le cose.

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